La società di investimenti di Warren Buffett crede fermamente nei titoli sul petrolio. Gli investimenti in Occidental Petroleum e Chevron stanno remunerando in modo straordinario Berkshire Hathaway.
Con oltre 794.000 azioni, la società di Warren Buffett ha raggiunto una quota del 16,4% nel colosso del petrolio statunitense Occidental Petroleum.
Oggi gli acquisti di azioni sulle grandi società petrolifere non sembrano essere terminate. L’aspettativa di nuovi incrementi dell’oro nero contrasta con quelle di una possibile recessione nonché nella tendenza che vedrà primeggiare le energie alternative.
Attualmente la holding guidata dall’oracolo di Omaha ha il potenziale di raggiungere grazie a un Opzione una quota superiore al 25% della Occidental Petroleum. L’esposizione di Buffett nel settore energetico è iniziata nel 2019, con una prima quota in Occidental, aumentata nel 2020 con l’ingresso in Chevron. L’ottimo tempismo ha riconfermato l’abilità di uno dei più grandi investitori degli Stati Uniti. Un ottimo risultato anche considerando che il 70% degli investimenti fatti in quegli anni erano tutti su azioni delle due compagnie petrolifere.
Il mercato del petrolio non è però così semplice da anticipare; si scontano sui prezzi del greggio diversi fattori in contrasto tra loro. Un aumento del prezzo della materia prima è possibile con l’uscita dai lockdown della Cina e il nuovo incremento della domanda. Al contrario una spinta ribassista sarà possibile se i dati degli effetti delle politiche monetarie restrittive si sconteranno su un rallentamento dell’economia.
Il terzo fattore, che gioca nel breve termine tutto a vantaggio di Buffett e del suo investimento nel comparto è la diminuzione dell’offerta causata dalle sanzioni nei confronti delle esportazioni del petrolio russo. Attualmente i future sul greggio statunitense sono scambiati in lieve rialzo con il Wti intorno 110,72 dollari al barile, mentre il Brent è salito dell’1,65% a 112,81 dollari al barile.
La scarsità dell’offerta globale di petrolio e le variazioni della produzione
La scarsità dell’offerta globale di petrolio è stata una delle ragioni principali per il rialzo di quasi il 50% del prezzo del greggio. L’arbitrarietà con cui i grandi produttori possono limitare o variare la produzione pone la materia prima al centro degli interessi di molti investitori che possono anticiparne le variazioni sulla base di un numero ristretto di variabili.
L’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio e i suoi alleati, inclusa la Russia, si incontreranno giovedì per discutere proprio di eventuali cambiamenti o conferme nella tabella di marcia per l’attuale produzione. Sembra improbabile ci possano essere grandi cambiamenti su questo fronte, con una produzione che quest’anno è stata pianificata anche per recuperare i mancati introiti dovuti ai fermi produttivi durante la pandemia.
I dati dell’American Petroleum Institute in questi giorni hanno mostrato che le scorte di greggio degli Stati Uniti sono aumentate di 1,8 milioni di barili nella settimana conclusasi il 3 giugno. Anche le scorte di benzina e di distillati sono cresciute, rispettivamente, di 1,8 e 3,4 milioni di barili. Secondo Goldman Sachs l’offerta rimane strutturalmente inferiore alla domanda, la maggior parte delle raffinerie sta già lavorando al limite della capacità per riuscire soddisfarla; la tendenza continuerà in vista del taglio delle esportazioni russe tra i 500 e 700 mila barili al giorno di prodotti petroliferi.
Goldman Sachs ha, quindi, aggiornato le sue aspettative sulla domanda e sull’offerta. Secondo l’istituto finanziario il prezzo del Brent dovrà raggiungere una media di 135 dollari al barile; questo avverrà indicativamente nel secondo semestre di quest’anno e nel primo semestre del 2023. L’offerta potrà essere compensata con l’aumento della produzione da parte altri attori come Iran, Venezuela e Libia.