Cosa spinge un investitore a mettere in discussione la solidità del mercato americano proprio ora? Quando tutto sembra correre veloce, un segnale improvviso può bastare a rallentare il passo. La parola chiave? Asset allocation. Ma non come la si intende di solito.
Parliamo di scelte concrete, fatte da chi preferisce il ragionamento alla corsa cieca. C’è chi, davanti ai numeri, non chiude gli occhi, ma si mette a studiare. E da lì inizia qualcosa di interessante.

Hai mai avuto la sensazione che tutti intorno a te siano euforici, mentre tu sei l’unico che sente una nota stonata nell’aria? È quello che è successo a Rinaldo, un investitore che ha deciso di prendersi cura da solo dei propri risparmi. Nessuna banca, nessun consulente. Solo lui, i grafici, qualche buona lettura e tanta pazienza. Una di quelle persone che non cerca la magia negli investimenti, ma costruisce un metodo.
Il suo approccio è semplice: diversificare. E per farlo si affida a una logica che suona quasi “vecchia scuola” nel mondo di oggi: pesare le aree geografiche in base al PIL globale. Un po’ d’America, un po’ d’Europa, Asia e mercati emergenti. Nessuna scommessa estrema, solo equilibrio. Ma quando anche un portafoglio così ben bilanciato comincia a scricchiolare davanti a certi dati, ecco che Rinaldo si ferma e si fa delle domande.
Le notizie non sono delle più incoraggianti. Citigroup cambia atteggiamento verso le azioni statunitensi. Ben Inker di GMO parla chiaro: il mercato è sopravvalutato del 30-40%. E poi c’è quel numero che proprio non riesce a ignorare: il famoso CAPE di Shiller. Da qui parte il suo viaggio nei dati e nella storia. Quello che ha trovato, potrebbe far riflettere anche chi finora ha scelto di non guardare troppo in profondità.
Valutazioni dei mercati: quando i numeri iniziano a raccontare un’altra storia
Guardando all’S&P 500, oggi ci troviamo davanti a un valore del P/E ratio intorno a 26,9. In parole semplici: stiamo pagando quasi 27 volte gli utili delle aziende. La media storica, tanto per fare un confronto, si aggira intorno a 15. Ma ciò che preoccupa davvero Rinaldo è un altro indicatore: il CAPE, il rapporto prezzo/utili aggiustato per l’inflazione e calcolato su dieci anni. Oggi è intorno a 32,4. E questo sì che è un numero pesante.

A cosa serve questo valore? A dare un’idea di quanto un mercato sia “carico” rispetto ai suoi fondamentali. E storicamente, ogni volta che il CAPE ha superato quota 30, non è finita bene. C’è il 1929, il 2000, il 2021… momenti in cui sembrava che nulla potesse andare storto, finché poi qualcosa è andato storto davvero. Non si tratta di profezie, ma di probabilità. E se queste probabilità iniziano a parlare con voce forte, forse è il caso di ascoltarle.
Rinaldo non è certo tipo da farsi prendere dal panico. Ma nemmeno uno che ignora i segnali. Quando nota che anche fonti come Seeking Alpha sottolineano come l’S&P 500 sia ancora ben sopra il suo trend di lungo periodo, capisce che non si tratta solo di numeri su uno schermo. È un cambio di tono. Qualcosa che ti dice che forse è il momento di tornare a riconsiderare le proprie strategie di lungo termine.
Un nuovo equilibrio tra fiducia e prudenza
C’è una cosa che Rinaldo ha imparato negli anni: non c’è mai una risposta definitiva nei mercati. Ma ci sono indizi. E oggi quegli indizi dicono che l’asset allocation non è più solo una questione di diversificare, ma di proteggere. Proteggere da valutazioni troppo generose, da margini compressi dai dazi, da un’America che forse corre troppo veloce per i suoi fondamentali.

Così Rinaldo inizia a guardare altrove. I mercati emergenti offrono valutazioni più basse. L’Europa vive cicli economici differenti. E poi ci sono gli asset reali, come l’oro o gli immobili, che in tempi incerti non tradiscono. Ma il vero spostamento è mentale: non si tratta di fuggire, ma di adattarsi. Ridurre l’esposizione dove il rischio sembra eccessivo, aumentarla dove le valutazioni sono più ragionevoli.
Anche la liquidità diventa una scelta attiva: non come segnale di resa, ma come riserva strategica per cogliere nuove opportunità. In un mondo in cui tutti cercano il prossimo boom tecnologico, forse vale la pena tornare a guardare alle aziende solide, con utili regolari, bilanci puliti e meno clamore mediatico.
Alla fine, il messaggio che Rinaldo lancia è uno: non serve essere esperti per capire che qualcosa non quadra. Serve solo attenzione. E un po’ di coraggio per non seguire la massa quando le sirene sembrano cantare troppo forte. Lui lo sa bene: nel lungo termine, con orizzonti di 10 o 15 anni, i mercati hanno spesso premiato chi è rimasto investito, anche dopo correzioni dolorose. Questo non significa ignorare i segnali, ma accettare che volatilità e incertezza siano parte del viaggio. Avrà fatto bene Rinaldo?