Il nuovo governo italiano potrebbe faticare a trovare un equilibrio tra la protezione dell’economia e il risanamento dei conti pubblici.
Il nuovo governo potrebbe risultare tra i peggiori e forse più brevi della seconda repubblica. La difficoltà maggiore sarà sostenere l’economia valutata in recessione con una debole reputazione sul piano internazionale.
I fattori di rischio sul futuro dei conti pubblici hanno diverse forme, a rendere chiaro il quadro le analisi di DBRS Mornigstar; c’è in primo luogo il rischio recessivo che si caratterizzerà proprio a partire dal 2023. Le previsioni delle principali istituzioni sono state riviste al ribasso, ciò influirà negativamente sul margine di manovra che il nuovo esecutivo avrà per attuare riforme e programma elettorale.
Altro fattore di rischio correlato sono i più alti costi di finanziamento del debito pubblico, in un contesto di rialzi dei tassi di interesse e di spread tra BTP e Bund. Questo sarà accresciuto o meno a seconda della solidità della maggioranza e dell’estensione delle misure per contrastare i rincari energetici. In un documento del think tank Centre for European Reform, Luigi Scazzieri spiega che un governo Meloni per l’Europa significherebbe un po’ di turbolenza tra Roma e Bruxelles, in particolare sui temi di immigrazione e politica economica.
Per l’Ue problemi maggiori riguardano i piani di spesa di cui la coalizione di destra ha bisogno e che rischiano di mettere in secondo piano gli obbiettivi decisi nel Pnrr. Il rischio ulteriore è quello di un cambio sullo stato di diritto; Italia, Polonia e Ungheria potrebbero trovarsi sulla stessa linea rispetto la riforma dei trattati per contrastare ogni altro tentativo di diluire la sovranità nazionale.
Tutte le promesse elettorali sono difficili da mantenere nel 2023; riforme fiscali, pensionistiche, sussidi, rischiano di rivelarsi troppo onerose innescando un ulteriore eccesso di indebitamento che metterebbe al centro della speculazione il debito italiano.
Tra le proposte più rischiose: riduzione del cuneo fiscale, abbassamento dell’età pensionabile o aumento delle pensioni, bonus per chi compie 18 anni, azzeramento dei contributi sociali per i nuovi assunti sotto i 35 anni, ecc. Il nuovo governo dovrà fare i conti con una realtà molto più difficile di quella degli ultimi sei mesi in cui sarà necessario fronteggiare altre priorità che rendono improbabile mantenere gli impegni economici e fiscali a beneficio degli italiani.
Per avere un termine di paragone, basta solamente osservare come sia indispensabile ora l’intervento del Governo su benzina e contratti energetici; impedendo che la crisi energetica che affligge l’Eurozona si sconti immediatamente sull’economia italiana.
La scorsa settimana la presidente della BCE Christine Lagarde ha fatto un discorso pubblico senza compromessi, sottolineato che la stabilità dei prezzi è prioritaria rispetto alla crescita. Mentre il capo economista, Philip Lane, ha spiegato che la Bce potrebbe alzare nuovamente i tassi fino all’anno prossimo. Mentre l’euro sprofonda sotto la parità con il dollaro ai minimi dal 2002, la BCE deve fare di tutto per non indebolirlo ulteriormente. Mesi di tempo sono andati perduti nella lotta all’inflazione e necessariamente dovranno essere recuperati.
In questo contesto Domenica l’Ue scoprirà quale sarà il destino del nuovo governo; si preannuncia la vittoria di Giorgia Meloni, con una coalizione di maggioranza formata oltre che da Fratelli d’Italia, da Lega e Forza Italia. Anche con la destra al governo prossimo parlamento italiano sarà meno anti europeista di quello emerso dal voto del 2018. La situazione internazionale e la pandemia prima ha messo in risalto l’importanza di una coesione tra gli Stati dell’Europa.
I rapporti di un governo Meloni con l’Ue non saranno semplici considerando la prospettiva di avere a Roma due partiti nazionalisti. Nonostante le rassicurazioni rimangono molti dubbi sulle reali intenzioni della leader di FdI. Per anni quando non governava il suo profilo elettorale è stato tutto incentrato sulla denuncia dell’euro, del Mes o dell’imposizione del diritto comunitario su quello nazionale.
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