Nel 2006 uno studio accademico ha approfondito la questione del trading con le fasi lunari, analizzando quarantotto mercati.
“Calendar Anomalies: Lunar Cycles and Stock Returns”, era intitolata così la ricerca degli accademici Yuan, Zheng e Zhu, che nel 2006 hanno provato ad analizzare quarantotto mercati (1988-2004) per capire se le fasi lunari potessero davvero influenzare la borsa. Cosa hanno scoperto? Che i rendimenti sono più bassi durante la Luna Nuova (la fase di buio) rispetto alla Luna Piena; l’effetto, inoltre, è più forte nei mercati con una cultura legata al calendario lunare (vedi l’Asia) ma è presente pure in quelli americani ed europei.
Basta pensare che il cinquanta per cento dei rendimenti mensili si sono concentrati nei giorni vicini alla Luna Piena ma solo in alcuni Paesi. Una correlazione che però non implica un meccanismo di causalità, l’effetto è spesso debole (solo pochi punti base) e di frequente annullato dai costi di transazione. E, inoltre, non è replicabile in tutti i periodi storici, come dimostrano i dati infatti dopo il 2010 molti mercati non hanno mostrato più il pattern. Ma allora come si spiegano le tendenze rilevate? Proviamo a fare chiarezza.
Mercati influenzati dalle fasi lunari? Possibili spiegazioni al fenomeno
L’influenza delle fasi lunari su alcuni mercati può essere spiegata attraverso il fenomeno della psicologia collettiva, visto che la Luna Piena è associata a irrazionalità e all’aumento del rischio, il che potrebbe comportare decisioni impulsive da parte dei trader. A influire sono pure i fattori culturali, ad esempio in Asia le festività legate al ciclo lunare (vedi il Capodanno cinese) vanno a interessare sia la liquidità che i flussi di capitale. Invece nelle commodity, i cicli agricoli legati alle fasi lunari possono riportare eventuali correlazioni settoriali (il prezzo del grano oppure quello della soia).
In ogni caso, risulta abbastanza rischioso affidarsi alle fasi lunari per portare avanti le proprie operazioni di trading. Esistono infatti migliaia di pattern basati sul calendario e testati negli studi che pur mostrando correlazioni non comportano la replicazione di una strategia. Testando cento anomalie, per la legge dei grandi numeri, almeno cinque risulteranno “significative” (p-value 0.05) ma magari (ed è più probabile) sono solo rumore. Fare trading su segnali deboli, come può essere un rendimento atteso dello 0,3 per cento, non è ideale, tra commissioni e spread bid-ask.
Tra l’altro se un’anomalia si rivelasse concreta e fonte di profitto, allora verrebbe sfruttata dagli investitori fino a sparire. Fortunatamente esistono alternative scientificamente valide come gli indicatori macro (differenziale dei tassi d’interesse, dati occupazione, indici PMI), il momentum strutturale (trend following su medie mobili) e le valutazioni fondamentali (rapporto P/E, CAPE ratio, flussi di cassa scontati).
In certe situazioni, comunque, potrebbe avere anche (moderatamente) senso basarsi sulle fasi lunari – che rimangono una curiosità antropologica – come nel caso di mercati illiquidi o emotivi, tipo quello delle criptovalute oppure di azioni con alto short interest (il sentiment è dominante). Non è da escludere l’utilizzo del calendario lunare come indicatore secondario in uptrend (se confermato da volume e momentum). Sperimentare è possibile, in questo modo: limitare l’esposizione (al massimo l’1 o il 2 per cento del capitale per trade), combinare i cicli lunari con indicatori di conferma (RSI, volume) ed evitare mercati razionali e liquidi (Forex major, indici azionari).