La Federal Reserve ha alzato anche ieri i tassi d’interesse per la quinta volta consecutiva, portandoli a un totale del 3,25%. L’influenza sugli effetti economici si sconta sui Titoli di Stato Usa.
Data l’aspettativa negativa dei mercati nelle ore successive all’annuncio il rendimento del buono del tesoro Usa a 2 anni è salito al valore straordinario del 4,13%.
È probabile che il rallentamento economico prosegua nei prossimi trimestri e che i maggiori effetti sulla crescita si manifestino nel corso del 2023. Negli USA, dove il picco di inflazione sembra essere già stato raggiunto, la Fed potrebbe evitare una recessione attraverso un più rapido alleggerimento delle pressioni restrittive.
Da qui fino all’anno prossimo i tassi negli Usa dovrebbero rimanere non inferiori al 4,50%. È così che Treasury bond a 2 anni riflette sostanzialmente queste aspettative offrendo così i rendimenti più alti in questa congiuntura di mercato. Le condizioni monetarie negli Stati Uniti sono per ora più restrittive che in Unione europea. L’influenza si sconta oltre che sul mercato obbligazionario più direttamente sul cambio euro dollaro; arrivato a nuovi minimi da venti anni ieri Eur/usd apriva a ridosso di 0,98.
In questo scenario inedito negli ultimi 30 anni, le banche centrali delle grandi economie hanno posto in dubbio la crescita per fermare l’inflazione. Riducendo la quantità di denaro in circolazione che alimenta il caro prezzi vengono anche frenati gli investimenti e i consumi. Se la guerra tra Russia e Ucraina si combatte sul nostro continente esponendoci in prima persona agli effetti economici del prezzo delle materie prime, è anche vero che al momento i T bond appaiono più allettanti dei titoli di stato dell’Eurozona.
Bisogna tuttavia ponderare attentamente la variabile del rischio cambio. Acquistare oggi un titolo Usa come un Treasury a due o dieci anni con un rendimento equiparabile all’omologo BTp può rivelarsi un investimento in perdita. È possibile infatti che da qui alla scadenza il cambio possa tornare ad apprezzarsi in favore dell’euro di almeno il 2,5%, cancellando i vantaggi cumulati nel biennio.
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