TFS indica Trattamento di Fine Servizio, quanti non si sono sentiti tutelati al 100%? Peggio, quanti hanno ricevuto un trattamento poco dignitoso? Le lamentele non mancano, ma c’è un modo per riemergere con dignità.
Il mondo del lavoro è più una giungla o uno Stato di Natura senza Leviatano Hobbesiano? Entrambe le immagini paiono esaustive, perché a quanto pare, tutti fanno ciò che vogliono, ma a rimetterci sono sempre i lavoratori. Cos’è successo, perché i dipendenti non riescono a riemergere da questa situazione di crisi? Generalmente, è l’economia a creare qualche problemuccio, ma nello specifico, ci sono casi e casi che vanno analizzati a dovere, specialmente quando il TFS potrebbe essere riscattato con un vantaggioso ricorso.
Fare ricorso per il TFS significa appellarsi all’INPS affermando che questa non si è poi comportata così bene in materia di termine del rapporto di lavoro. Come di norma, chi pone fine a questo legame, deve ottenere delle forme di tutela che gli permettano di uscire dignitosamente da quel contesto lavorativo per poi iniziarne un altro.
Totalizzazioni, riscatti, ricongiunzioni, recupero di indebiti, e ancora autorizzazioni e versamenti volontari che valgono tanto per i pensionati e gli assicurati, che per i soggetti protagonisti di Trattamento di Fine Servizio.
Se questi elementi vengono meno, o ci sono degli errori di calcolo, nessuno toglie la possibilità di fare un ricorso. Lo prevede l’ordinamento giuridico che ha il fine di ripristinare la situazione giuridica soggettiva del singolo che è stata pregiudicata da un trattamento per niente equo e corretto. Potrebbe essere stata l’INPS stessa a ledere mediante atto amministrativo il destinatario del provvedimento. Si può fare ricorso facilmente, ma bisogna sapere alcuni dettagli che fanno la differenza.
Sembra scontato, ma per prima cosa occorre evidenziare con documentazioni, prove e tutti gli elementi possibili, il provvedimento emesso dall’INPS. In questo modo, si afferma che il soggetto è stato trattato in un certo modo, ritenuto iniquo, e di conseguenza può agire per effettuare il ricorso. Senza testimonianza del trattamento subito non si può pensare di farcela. Quindi indicare l’atto lesivo e fare un “recap” dell’avvenimento amministrativo dannoso, è il primo passo. Seguono i prossimi, cosa sapere.
Arrivati a questo punto, è necessario allegare anche tutti i motivi che fungono da sostegno alla propria posizione. Può trattarsi di una richiesta varia. Di modifica, revoca, o sospensione del provvedimento subito. Il ricorrente o un suo rappresentante sono i soggetti che muovono il ricorso. Se si tratta di una persona incapace di intendere e di volere, la legge predispone che essa può usufruire della figura del Rappresentante legale del provvedimento, il quale appone le dovute firme al suo posto.
Presentato il ricorso viene registrato dalla stessa INPS in maniera informatizzata, la quale si occupa di porre la prima valutazione, al cui termine inoltra tutto al Comitato competente. Segue poi la discussione e la decisione posta con delibera dallo stesso organo, che accoglie o rifiuta il ricorso. È sempre questo organo che comunica il risultato al ricorrente.
È possibile presentare la domanda di ricorso online, mediante un avvocato o comunque un intermediario, tramite la piattaforma ufficiale dell’INPS facendo accesso con SPID o CNS, digitando prima “Tutti i servizi” e poi “Ricorsi Online”. Se non ci si avvale della figura mediana, è necessario che il ricorrente compili altri documenti. Si tratta delle schede di procedura, unire il ricorso digitalizzato e scannerizzato con tutti li allegati, e poi cliccare su “Inoltro”. Entro le successive 24 ore si può stampare il file inviato con tanto di ricevuta e numero di protocollo informatico unificato.
Entro quando fare tutto? Generalmente, entro 90 giorni decorrenti dalla ricezione del provvedimento da impugnare. Se si tratta di un caso di silenzio-rigetto la tempistica si estende da 90 a 120 giorni. Diverso è il caso dei Comitati della Gestione Dipendenti Pubblici che hanno 30 giorni di tempo. Quanto tempo ha l’INPS per rispondere? Massimo 30 giorni secondo legge, e se c’è rigetto, il ricorrente può muoversi con un’azione giudiziaria.
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