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La ricetta del nuovo corso economico cinese: aumento della natalità e amicizie diplomatiche

Da qualche anno le relazioni economiche tra l’Occidente e la Cina sono diventate uno degli obbiettivi più importanti della politica estera mondiale. Se dal punto di vista economico la Cina potrebbe diventare nel futuro quello che sono oggi gli Stati Uniti, le condizioni geopolitiche in questo senso non lasciano al momento nessun margine di manovra.

Con varie sfumature nella politica estera a seconda del ruolo nello scenario internazionale dei governi, l’Occidente ha individuato nella Cina quello che potremmo definire un avversario strategico, in grado di cementare la politica estera e gli interessi occidentali, avviando una rivalutazione complessiva dei rapporti economici in senso più competitivo.

Le preoccupazioni internazionali sembrano mettere in luce la possibilità che la Cina possa sostituire gli Stati Uniti come leader economico capace di orientare gli obbiettivi del prossimo futuro. Unione Europea e Stati Uniti si domandano se i loro sistemi economici riusciranno a rimanere al passo, o se invece i profitti sul lungo termine arrivati dall’ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001 dell’enorme mercato cinese siano quasi giunti al termine. Questo significa che il flusso tra Cina e Occidente di idee e innovazioni che ha fatto così tanto per accelerarne l’ascesa potrebbe cominciare a indebolirsi.

Nella politica estera cinese si evidenziano tutte le intenzioni di mantenere un profilo accondiscendente al dialogo e al rispetto delle consuetudini diplomatiche. A questo fine Xi Jingping ha descritto il corso economico cinese nel suo discorso per il centenario del partito comunista, tenutosi la scorsa settimana come, “il cammino della nazione verso quella che sarà una nuova era di perenne pace”.

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Le proporzioni dell’enorme potenziale di sviluppo cinese

La Cina con 1,4 miliardi di abitanti ha davanti a sé un enorme potenziale di sviluppo, soprattutto considerando la proporzione in termini di Pil pro capite, meno di un sesto di quello USA con il quadruplo dei suoi abitanti. Allo stesso modo l’efficienza del suo mercato interno dato dalla combinazione di lavoro e capitale, è soltanto la metà rispetto a quella degli Stati Uniti, per questo motivo ci si aspettano nuove riforme economiche in grado di accelerare il raggiungimento degli obbiettivi.

La Cina cerca con sobrietà e lungimiranza di avvicinarsi agli standard occidentali senza che questo venga percepito dalle nazioni occidentali come una minaccia, al fine di evitare l’isolamento internazionale che farebbe implodere le ambizioni di espansione del suo mercato interno. Questa eventualità è naturalmente già scontata nelle politiche atte a emancipare il Paese dalla sua dipendenza energetica dal petrolio, e allo stesso tempo mantenersi il più vicino possibile allo standard dei valori di apertura e modernità occidentali tali da mantenere alto il soft power di Pechino.

Nessun limite alla fertilità dei cinesi e aumento dell’età pensionistica

Naturalmente gli Stati Uniti hanno tutto il vantaggio a limitare il potere diplomatico e l’influenza della seconda economia mondiale, che proprio dal 2016 ha rimesso in discussione la sua politica atta a limitare la natalità nel Paese. La forza lavoro deve conseguire il corretto ricambio generazionale, al fine di mantenere alte le aspettative di crescita economica e sostenere la popolazione in età pensionistica.

A questo proposito è stato tolto il limite del figlio unico e consentiti a oggi fino al terzo figlio. Contestualmente sono stati portati avanti riforme atte ad aumentare l’età pensionistica. Il pericolo concreto è quello di non riuscire a sostenere l’economia interna, che con l’aumentare del benessere e il progressivo avvicinamento agli standard occidentali, hanno aumentato il costo dei beni e servizi come le case e il costo dell’educazione, che limitano fortemente la propensione ad avere un alto numero di figli.

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Quale posizione ha assunto l’Italia nei rapporti economici con la Cina?

Ma mentre buona parte dei paesi occidentali si è adattata a questo nuovo stato di cose, l’atteggiamento dell’Italia è stato lo specchio dell’alternanza delle maggioranze susseguitesi al governo, che l’ha resa incerta e imprevedibile.

Durante il governo di Giuseppe Conte, l’Italia aveva assunto una posizione di estrema vicinanza alla Cina rispetto alle consuetudini per i paesi dell’Unione, siglando la sua intesa con la firma dell’accordo per la nuova via della seta, il progetto del governo cinese inaugurato nel 2013 e finalizzato all’integrazione economica e geografica della regione euroasiatica, per mezzo di accordi commerciali e soprattutto la costruzione di infrastrutture, come porti e ferrovie, capace di aumentare l’importanza internazionale dell’Italia, trasformandola in un ponte tra Cina e Occidente e naturalmente attrarre nuovi investimenti, ma espandendo al contempo l’influenza della Cina in Europa nel mondo.

In quel periodo infatti l’Unione Europea percepì con sospetto l’intesa e gli Stati Uniti cominciarono a considerare l’Italia come l’anello debole della loro strategia politica, atta a limitare l’influsso economico e politico di Pechino. Oltre a questo episodio il governo Conte si disse contrario a un meccanismo di controllo degli investimenti cinesi da approvare a livello europeo, ed evitò di schierarsi in modo chiaro contro le riforme liberticide che la Cina portava avanti ad Hong Kong.

Cosa è cambiato nei rapporti diplomatici dell’Italia con il governo Draghi?

Con l’arrivo del governo Draghi e soprattutto negli ultimi due mesi, senza aver portato avanti iniziative ufficiali, la posizione dell’Italia sembra rientrata in quello che è stato fin dalla prima repubblica il suo ruolo tradizionale all’interno dell’orbita dell’Europa occidentale atlantista ed europeista. Nonostante questo, a causa anche dello stato emergenziale del governo, nessun accordo commerciale è stato per ora modificato e i rapporti diplomatici non hanno smesso di essere distesi e positivi.

Ha pesato nella svolta conservatrice dell’Italia l’influenza della politica estera di Biden, che durante l’ultimo G7 tenutosi nel Regno Unito ha voluto mettere gli alleati dalla sua parte incoraggiato i paesi come Italia, Francia e Germania a investire nei propri settori di competenza, al fine di crescere economicamente ed evitare di cadere vittima dell’egemonia economico politica cinese. Contribuendo così a fortificare quelle che sono le misure atte a limitare l’alternativa alla guida economica USA e a quelle iniziative che proprio come la belt and road o nuova via della seta sono le pratiche commerciali a loro svantaggio.

In particolare dal punto di vista strategico Biden è disposto a offrire all’Italia e all’Unione Europea l’opportunità economica di un piano infrastrutturale esplicitamente in concorrenza con la Belt and Road e tutelare, con il rientro nell’orbita di Washington, quelli che sono sul breve termine i settori strategici, dai semiconduttori alle materie prime, fino alle terre rare, tali da rallentare e addirittura fermare le catene di approvvigionamento e di conseguenza, danneggiare la filiera produttiva in svariati settori industriali.

Andrea Carta

Ha studiato Analisi Tecnica dei mercati finanziari e ha svolto la professione di trader indipendente fino al 2019. Appassionato di letteratura e scrittura creativa, concilia le sue conoscenze ed esperienze scrivendo articoli in tema finanziario, socio economico e politico

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