Il datore di lavoro non può fare ciò che vuole, neppure se l’azienda sta attraversando un periodo difficile. La Cassazione non ammette sconti.
Può un datore di lavoro ridurre lo stipendio o cambiare le mansioni di un dipendente senza un accordo ufficiale? A questa e ad altre domande risponde la Cassazione con alcune sentenze che non lasciano spazio a dubbi.
Se il datore di lavoro decide di abbassare lo stipendio dei propri dipendenti, anche se in buona fede e con il beneplacito del lavoratore, oppure anche in presenza di una grave crisi economica, commette un errore imperdonabile. Dalla legge, almeno. Perché in mancanza di accordi scritti e presi ufficialmente nei tavoli preposti, si commette un’ingiustizia. Molti lavoratori, dagli operai ai manager, accettano le proposte di riduzione dello stipendio anche per non perdere il lavoro, e se non si tratta di ricatto, poco ci manca. Almeno così la pensa la Cassazione. Qualche esempio.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26320 del 2024, ha dichiarato nullo l’accordo di riduzione dello stipendio di un dirigente perché non stipulato in sede protetta, ribadendo il principio dell’irriducibilità del salario. Inoltre, ha stabilito che un accordo che preveda la riduzione dello stipendio del lavoratore a causa delle difficoltà economiche dell’azienda, sia da ritenersi nullo, se non siglato sempre nelle sedi opportune.
La vicenda riguarda il dirigente di un’azienda che si era dimesso per giusta causa e aveva chiesto sostegno in Tribunale per ottenere l’annullamento di un accordo stipulato con la sua ex società. Accordo che prevedeva un 10% in meno nello stipendio perché l’azienda stava attraversando un momento difficile economicamente. Ma l’accordo non teneva conto di un salario che era al di sotto dei minimi stabiliti dal contratto nazionale dirigenti aziende industriali. Il giudice d’appello, che ha ribaltato la prima sentenza che aveva dato ragione all’azienda, ha dichiarato nullo l’accordo poiché non stipulato in una sede protetta.
La Suprema Corte non lascia dubbi e non fa altro che ribadire un principio della giurisprudenza: “la retribuzione concordata al momento dell’assunzione non è riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore e il prestatore di lavoro e che ogni patto contrario è nullo in ogni caso in cui il compenso pattuito anche in sede di contratto individuale venga ridotto”.
Ma ci sono alcune eccezioni che di fatto salvano il lavoratore che se non accetta la richiesta dell’azienda di ridurre il proprio salario, rischia di perdere il lavoro. Il comma 6 dell’art. 2013 del codice civile, infatti, prevede che, nelle sedi previste dal comma 4 dello stesso articolo o di fronte alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della retribuzione, tutto questo nell’interesse del lavoratore a conservare il posto di lavoro.
Il lavoratore ha sempre il diritto di farsi assistere da un rappresentante sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro. Le sedi protette sono quindi queste, e solo qui il datore di lavoro può cambiare le carte in tavola, in accordo con il lavoratore.
Per concludere è bene ribadire che l’ordinanza n. 26320/2024 della Corte di Cassazione rafforza un principio fondamentale del diritto del lavoro: l’irriducibilità della retribuzione, se non concordata in sede protetta.
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