Una recessione di solito riduce la domanda interna scontando i suoi effetti sul prezzo dei beni e riducendo di conseguenza l’inflazione. Ecco cosa accade invece con la stagflazione.
Durante i periodi di stagflazione, come quello che sembra poter realizzarsi tra le variabili delle conseguenze delle attuali politiche monetarie sono compresenti alta inflazione e bassa crescita.
La domanda interna non è la causa degli alti prezzi dei beni, i salari rimangono bassi e la generale crisi economica è affiancata così dall’inflazione.
In una condizione simile, l’impoverimento generale viene acuito in un circolo vizioso. Esso colpisce le imprese e il mercato del lavoro, ma anche i risparmi lasciati disinvestiti. Con l’inflazione al livello attuale, se avete 20 mila euro sul conto corrente perderete, in termini di potere d’acquisto, oltre 1200 euro l’anno o in altri termini 100 euro al mese.
Questo è risultato coinvolge tanto più denaro si ha lasciato disinvestito; vale quindi anche per i contanti. Maggiore è la liquidità immobilizzata maggiore sarà la perdita in termini assoluti. Con l’inflazione che si accompagna alla recessione economica non è naturalmente facile individuare i beni materiali su cui destinare una parte del capitale, mettendolo in salvo dalla svalutazione.
Le attuali cause della crisi e della possibile stagflazione sono gli alti prezzi delle materie prime aumentati prima per l’eccesso improvviso di domanda e successivamente per la riduzione degli scambi commerciali. È così che la crisi diventa stagflazione; una condizione in cui la crescita economica è lenta, la disoccupazione è alta e allo stesso tempo l’inflazione aumenta.
La stagflazione può essere un problema particolarmente difficile per le banche centrali perché la maggior parte delle politiche volte a ridurre l’inflazione tende a sfavorire i consumi e quindi aumentare la disoccupazione, mentre le politiche progettate per diminuire la disoccupazione aumentano generalmente i consumi e l’inflazione.
Gli allarmi su un’imminente recessione sono aumentati dopo la decisione della Federal Reserve, la scorsa settimana, ha deciso di aumentare i tassi di interesse di 75 punti base, per un obbiettivo compreso tra l’1,5% e 1,75%. Viene portato avanti il rialzo più elevato dal 1994, con effetti imprevisti data la natura esogena del problema. La crescita negativa è acuita infatti dalla guerra commerciale tra Russia, USA e Europa, rendendo incerti gli investimenti, i mercati finanziari e le contromisure da adottare.
“Ridurre l’inflazione comporta spesso costi significativi per la crescita” è ciò che affermano anche gli economisti di Citigroup. Secondo gli esperti dell’istituto c’è una probabilità di recessione vicina al 50%. L’outlook di Citigroup è di una crescita del Pil globale in riduzione, pari a +3% nel 2022 e del 2,8% l’anno prossimo. L’aspettativa è quindi, inflazione sopra la media e crescita ridotta.”
Le differenze nello sviluppo futuro della crescita saranno segnate soprattutto dal decorso della guerra in Ucraina. Le più penalizzate sono infatti le regioni dell’Europa Centrale e dell’Asia, comprensive di Ucraina e Russa. In base alle condizioni attuali nei due Paesi il Pil dovrebbe contrarsi rispettivamente del 45 e del 8,9% nel 2022.
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