Con il presentimento di una sempre più probabile crisi di governo, l’Italia torna a scontare sui suoi Titoli sovrani lo spread, che si mantiene sopra 200 punti base.
Non accenna a diminuire la pressione sui titoli di stato italiani, il differenziale è arrivato nuovamente a toccare i 223 punti nell’ultima seduta della settimana.
Il 21 luglio verrà resa ufficiale la decisione della Bce sul rialzo dei tassi di interesse di 0,25 punti percentuali. Con il rafforzamento del dollaro sull’euro e sulle altre valute principali, l’Italia subisce le peggiori influenze per la concomitanza della crisi energetica che colpisce l’Ue.
Tra i peggiori ribassi a Piazza Affari oltre Telecom Italia, anche Bper Banca, Unicredit ed Enel. Non è possibile al momento dire come lo spread tra Bund e BTP potrà venire ridotto; con esso l’Italia si avvia a una spirale negativa in quanto finanziare il debito avviene a interessi più alti.
Gli indici di solidità patrimoniale bancari sono appesantiti dalla perdita di valore dei titoli di stato in portafoglio. Se a questo si aggiunge l’aumento dei tassi di interesse la ricerca di più ampi margini di profitto non può che riflettersi sui costi dei finanziamenti a famiglie e imprese.
La situazione sul fronte politico è un ulteriore campanello d’allarme che influisce sulle scelte di investimento nei titoli del debito sovrano italiano. Chi investe in Titoli di Stato sa che se dipendesse dal gruppo più numeroso, i 5 Stelle, questi uscirebbero dal governo oggi stesso. Il compromesso rimane in pedi solo grazie PD, che avverte “se fate cadere il governo, niente alleanze elettorali”. C’è un forte interesse a mantenere lo status quo fino al 24 settembre; se il parlamento fosse sciolto prima di quel giorno, i parlamentari non maturerebbero il diritto alla pensione.
Una maggioranza è necessaria anche per l’approvazione del bilancio da approvare entro il 31 dicembre. Oltre quella data per ogni mese la spesa pubblica non potrà eccedere il limite di un dodicesimo degli stanziamenti validi per l’esercizio precedente. In realtà questo è già accaduto nella nostra repubblica per ben 42 volte; tuttavia nella situazione attuale sarebbe un grave danno di immagine che non ci possiamo permettere.
Il sintomo di un potere centrale allo sbaraglio coinciderebbe anche con lo scioglimento del Parlamento e l’indizione di nuove elezioni, che avverrebbero così nella peggiore delle situazioni. La soluzione più probabile al fine di evitare perdite inutili, è che la manovra finanziaria venga varata e approvata dalle Camere come ultimo atto della legislatura.
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