Vediamo quali saranno gli eventi e i dati macroeconomici che potranno determinare maggior impatto sui mercati finanziari nel corso della prossima settimana lavorativa, che va dal 29 novembre al 3 dicembre. L’andamento dei mercati, però, dipenderà soprattutto dalle notizie relative alla nuova ondata pandemica.
La settimana che inizia lunedì 29 novembre sarà molto importante allo scopo di comprendere quali sono le prospettive a breve termine dei mercati finanziari, dopo il crollo avvenuto nella seduta di venerdì 26, a causa del sentiment di avversione al rischio generato dalla diffusione della variante sudafricana del Covid-19, non ancora rilevata in Europa, ma che, a causa della elevata contagiosità e capacità di mutare (ben 32 mutazioni già riscontrate), potrebbe essere in grado di resistere agli anticorpi generati dai vaccini.
Ciò ha indotto diversi Paesi ad imporre lo stop ai voli provenienti dall’Africa e nuove misure restrittive per cercare di scongiurare il rischio che questa variante possa invadere anche il continente europeo. I mercati azionari globali, di conseguenza, hanno vissuto un’intera giornata in preda al panico, registrando perdite nell’ordine dei 4 punti percentuali a fine giornata, fortemente preoccupati per le prospettive economiche in un contesto sociale dominato, nuovamente, da lockdown e restrizioni.
Se i mercati azionari, già nelle prime sedute della prossima settimana, saranno in grado di reagire e recuperare le perdite subite nella giornata di venerdì, questo potrebbe rappresentare un segnale di ritrovata serenità degli investitori, una quiete dopo la tempesta. In questo caso, il sentiment di risk-off, con l’elevata volatilità osservata venerdì (come tipicamente accade in queste situazioni), lascerebbe spazio ad un clima di maggior tranquillità e, dunque, di bassa volatilità e graduale salita verso nuovi massimi, come accaduto negli ultimi mesi. Può accadere, infatti, che una determinata notizia, come questa legata al Covid, possa in un primo momento generare delle vendite da panico (cosiddetto “panic-selling”), dopodiché gli investitori “digeriscono”, accettano tale notizia, ridimensionandone gli effetti percepiti in un primo momento e tornando nuovamente ad acquistare quando i prezzi vengono ritenuti appetibili. Questo è quanto si è verificato, ad esempio, tra febbraio e marzo 2020, in occasione della prima ondata di contagi in Europa. In quella situazione, dopo un repentino crollo tra il 20 febbraio e il 20 marzo, le quotazioni azionarie sono tornate a salire, dando l’avvio al trend rialzista ancora in corso, già nell’ultima settimana di marzo, nonostante la pandemia fosse ancora soltanto all’inizio. Chiaramente, la certezza sul timing preciso di questa inversione non è possibile averla ed il comportamento dei mercati non può essere racchiuso all’interno di schemi ben precisi.
Al contrario, se gli investitori manifestassero ancora forti timori, il sell-off sull’azionario continuerebbe e diventerebbe improbabile rivedere le quotazioni azionarie in area massimi storici entro fine anno. Contestualmente, aumenterebbe la domanda di asset a basso rischio (cosiddetti “safe heaven”), come l’oro e le obbligazioni, i cui prezzi salirebbero, spingendo ulteriormente al ribasso i rendimenti.
Essendo le quotazioni ancora molto elevate, con una correzione dai massimi pari soltanto al 3% sull’indice di riferimento a livello mondiale, ovvero l’S&P 500, è probabile che nella prossima settimana prevalga la seconda ipotesi, con continuazione del movimento ribassista ad alta volatilità. A quel punto, le quotazioni potrebbero tornare a salire soltanto quando raggiungeranno dei livelli ritenuti convenienti dagli investitori per tornare ad acquistare, come, ad esempio, l’area compresa tra 4400 e 4500 punti di S&P 500.
Nella giornata di lunedì 29, l’attenzione si focalizzerà su numerosi interventi dei membri del FOMC (Federal Open Market Committee), il braccio operativo della Federal Reserve, in programma nel corso del pomeriggio. Parlerà anche il governatore della Fed, Jerome Powell. Gli investitori sperano di ottenere maggiori dettagli sulla posizione della banca centrale statunitense al riguardo dei rischi economici correlati ad una nuova ondata pandemica e di come la stessa intenda gestire i prossimi mesi di convivenza tra elevata inflazione e tapering (quindi rimozione degli stimoli monetari), da una parte, ed eventuale rallentamento della crescita, dall’altra, nel caso in cui si renda necessario anche negli Usa ricorrere nuovamente a misure restrittive per tenere a bada il Covid-19.
Martedì 30 alle ore 11, invece, verrà effettuato il rilascio preliminare dei dati riguardanti l’andamento inflazione nell’Eurozona, nel mese di novembre. Il dato generale dell’indice dei prezzi al consumo (IPC) è previsto dagli analisti in ulteriore aumento, su base annuale, dal 4,1% di ottobre al 4,4%. Proseguirebbe, dunque, il trend rialzista dell’inflazione che ha caratterizzato tutto il 2021, fino a spingere la BCE a dare inizio ad una ricalibrazione del ritmo mensile degli acquisti di bond, previsti dal programma Pepp, che rappresenta un antipasto del tapering.
Sparsi in diverse giornate saranno, inoltre, pubblicati gli indici PMI del settore manifatturiero e del settore terziario, sia in Europa che negli Stati Uniti, per quanto riguarda il mese di novembre. Gli indici PMI ( o Purchasing Managers Indexes) vengono elaborati sulla base di indagini e sondaggi condotti presso i responsabili degli acquisti di aziende appartenenti ai settori cui gli indici sono riferiti. In linea generale, dovrebbe essere confermato quanto emerso in occasione del rilascio preliminare, ovvero un ritmo di crescita dell’attività, in entrambi i settori, più elevato rispetto al mese di ottobre. La minaccia rappresentata dal Covid-19 frena però gli entusiasmi: se la situazione pandemica dovesse peggiorare, infatti, nei prossimi mesi potrebbe rilevarsi una contrazione generalizzata del tasso di espansione dell’attività, sinonimo di rallentamento economico.
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Nella giornata di venerdi 3 dicembre, è previsto, come sempre accade il primo venerdì del mese, il rilascio dei dati sull’andamento dell’occupazione negli Stati Uniti. Il dato più atteso è quello relativo ai Non Farm Payrolls (NFP),ovvero i nuovi posti di lavoro creati dall’economia statunitense nel mese precedente, ad esclusione del settore agricolo, il quale, essendo caratterizzato da lavoro stagionale quindi molto volatile, andrebbe a creare delle distorsioni nel dato generale. A novembre, secondo le stime degli analisti, l’aumento delle buste paga dovrebbe essere di 550.000 unità, in leggero aumento rispetto alle 531.000 unità registrate nel mese di ottobre. La retribuzione oraria media dovrebbe salire, su base mensile, dello 0,4%, rimanendo sui livelli precedente, mentre il tasso di disoccupazione è atteso in leggero ribasso al 4,5% dal 4,6% della lettura relativa al mese di ottobre.
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