Dopo le sanzioni alla Russia, l’Europa prepara i suoi piani per rispondere all’impatto della guerra in Ucraina sull’energia e l’agricoltura.
Le contromisure al contraccolpo delle limitazioni sul commercio avranno sul medio periodo l’obbiettivo di compensare economicamente i settori più esposti dalla crisi con la Russia.
Lo strumento più atteso, in arrivo la prossima settimana, potrebbe avere le sembianze di un Recovery fund destinato all’energia. Gli aiuti di Stato europei possono in parte compensare il contraccolpo economico dell’isolamento internazionale della Russia. Di contro, potrebbero non essere adeguati a un eventuale fallimento dello Stato.
La Russia scivola infatti sempre più verso il rischio di insolvenza con un nuovo taglio del rating e un accerchiamento finanziario da parte dei suoi avversari che ora coinvolge anche il Fondo monetario internazionale. Agli effetti sull’economia russa si accompagna anche il pericolo ravvisato dalla banca mondiale di un effetto distruttivo per l’economia globale.
Se l’Europa in primo luogo mette a rischio la stabilità economica e politica degli Stati membri, la storia recente può mostrare se effettivamente le sanzioni possono fermare la politica di uno Stato autocratico.
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Le sanzioni alla Russia daranno gli effetti sperati? Ecco alcuni precedenti
Le severe sanzioni internazionali contro l’occupazione irachena del Kuwait nel 1990, ad esempio, hanno paralizzato l’economia irachena, ma non hanno cambiato affatto la politica di Saddam Hussein. Anche la Russia ha dei precedenti in questo senso avvenuti nell’ultimo decennio dell’Unione Sovietica. Questi comprendono l’embargo americano sul grano del 1980 quando la Russia invase l’Afghanistan nel 1979, nonché il controllo delle esportazioni e le restrizioni sul trasferimento di tecnologia durante la Guerra Fredda. L’embargo non ha scoraggiato la Russia dalla sua occupazione afghana e i controlli sulle esportazioni non hanno influenzato in modo significativo gli stati comunisti.
Naturalmente si tratta di economie abbastanza diverse che tuttavia riflettono ancora oggi il potenziale di indipendenza che il Paese è in grado di dimostrare anche in momenti di crisi. Le sanzioni contro la Russia sono state imposte prima della crisi attuale nel 2014, quando in una situazione analoga Putin decise di annettere la regione ucraina della Crimea.
Prima delle sanzioni del 2014, i flussi commerciali tra la Russia e l’Unione europea erano pari rispettivamente al 22% e al 3% del PIL. Le sanzioni sono state avviate con un vantaggio strategico per l’Unione europea. Hanno visto la Russia perdere circa il 14% dei proventi del commercio con l’Europa. Quelle sanzioni non hanno comunque intaccato la decisione del Governo russo, che oggi si trova in una situazione simile anche se con una portata ben più pesante per l’equilibrio internazionale.
L’accerchiamento finanziario verso la Russia può dare effetti imprevisti sulle economie emergenti
Moody’s prevede che i rincari di cereali, metalli, petrolio e gas, salito oggi per la prima volta oltre i 200 dollari al megawattora, si sommeranno all’impennata già in atto dell’inflazione. Questo rischia di innescare un aumento dei tassi d’interesse che si ripercuoterebbe con più forza sulle economie emergenti più indebitate in dollari. Potrebbero essere loro la prima vittima economica dello scontro in atto. Il regime autocratico russo permette di non doversi confrontare eccessivamente con gli effetti economici che gravano sulla popolazione. I cittadini russi devono sopportare una svalutazione del rublo del 40% e tassi di interesse aumentati del 20%.
Isolare ulteriormente la Russia e Putin dalla comunità internazionale offre al regime un’opportunità per imporre politiche più repressive. Tanto più un paese ha mantenuto i suoi asset strategici all’interno del circuito economico nazionale tanto più è in grado di sopportare gli effetti delle ritorsioni economiche. Anche se le sanzioni sono viste come un’alternativa accettabile alla guerra queste richiedono la capacità di sopportarne il peso a lungo termine anche da parte di coloro che le hanno imposte. Nonostante le sue dimensioni la Russia ha oggi un Pil molto vicino a quello della Spagna e un Pil pro capite inferiore a quello della Romania.
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L’accerchiamento finanziario verso Mosca e il rating dei Titoli di Stato
Il commercio internazionale non è tutto per un paese esteso geograficamente come la Russia. Oltre a questo, oggi la Cina è in grado di fornire una buona alternativa portando a consolidare una reciprocità che può ulteriormente danneggiare l’occidente. Oggi la probabilità di una dichiarazione d’insolvenza della Russia è molto alta se osservata dal punto di vista dei mercati finanziari.
Standard & Poor’s ha infatti portato il suo giudizio sull’affidabilità di Mosca come debitore a CCC-, tre livelli sotto Moody’s e quattro al di sotto di Fitch. Secondo l’agenzia di rating le sanzioni occidentali aumentano in modo sostanziale il rischio di default. A questo si aggiunge la stessa ritorsione di Mosca. Bloccare i flussi finanziari verso l’estero rischia infatti d’impedire, come in effetti sta accadendo, il rimborso e il pagamento degli interessi dei bond russi agli investitori. Il rating attuale avvicina la Russia ad appena due livelli prima da quello di CC, associato a una nazione in default.
Una recessione dell’economia russa non potrà che impattare profondamente anche sulle economie occidentali, travolgendo fondi d’investimento, banche e aziende più esposte. Putin scommette sulla maggiore capacità di resistenza di Mosca, data anche la fragilità politica delle democrazie europee, in grado di rompere l’allineamento politico con Washington.