Una notizia positiva arriva sul fronte pensioni con i rincari di questi mesi che verranno compensati a partire dal 2023.
Cresce ancora l’inflazione nel mese di settembre con un incremento dello 0,3% rispetto al mese precedente e dell’8,9% rispetto a un anno prima. Siamo ai livelli più alti dal 1985.
È la condizione che si trovano a vivere con un maggior peso chi riceve una pensione minima assegnata a 2,1 milioni di persone. Ed è proprio da coloro che guadagnano poco più di 500 euro al mese che l’Inps comincerà a elargire le compensazioni mensili.
Dal 2023 i titolari di pensione minima potrebbero confidare su un aumento mensile di 37,19 euro, cioè del 7,1%. Per compensare l’inflazione acquisita fino a ora gli aumenti nell’arco dell’anno arriverebbero a un totale di 483,47 euro.
L’aumento del 7,1% è esteso ai titolari di assegni fino a 4 volte la pensione minima, cioè fino a 2.095,32 euro al mese. Per la parte dell’assegno mensile compresa tra 2.095,32 e 2.619,15 euro, si ottiene invece una rivalutazione del 6,39%, pari al 90% del computo della rivalutazione. Sopra i 2.619,15 euro al mese, la rivalutazione dell’assegno è invece computata al 75% dell’inflazione acquisita per un totale del 5,33%.
Il tasso effettivo di rivalutazione della pensione, tuttavia, dipenderà dall’andamento dell’inflazione dell’ultimo trimestre stimando con una proiezione il dato di dicembre. Le eventuali differenze saranno accreditate o scalate nell’anno successivo. Quello delle pensioni è un tema delicato che tra volatilità dei mercati e alti tassi d’interesse vedono sempre più sotto pressione la sicurezza pensionistica a livello globale. La certezza della pensione sta venendo messa in discussione da carenze strutturali che emergono dall’ultima edizione Global Retirement Index di Natixis.
Come mettono in evidenza i dati di 44 nazioni analizzate, sono tassi di crescita della popolazione e demografia a rappresentare i maggiori rischi sul benessere dei cittadini e dei futuri pensionati.
L’Ocse prevede che la popolazione over 65 aumenterà dal 17% del 2019 al 27% entro il 2050. Aumentando così i rischi sulla sicurezza pensionistica ed esercitando ulteriori pressioni sui sistemi sanitari a lungo termine. Gli indicatori di performance hanno generato una classifica con Norvegia, Svizzera e Islanda i primi tre Paesi sul podio.
Il contesto attuale e strutturale fa si che il sistema pensionistico italiano arrivi solamente al 31esimo posto su 44 Paesi, confermandosi nel complesso sugli stessi livelli dell’anno scorso.
I significativi aumenti dei generi alimentari e la fragilità della sostenibilità del debito italiano stanno riducendo il potere d’acquisto dei pensionati e diminuiscono le aspettative di benessere per coloro che la stanno pianificando la pensione. Secondo l’analisi di Natixis, anche le regioni con popolazioni giovani potrebbero presto trovarsi di fronte problemi simili.
L’aumento del benessere e della crescita economica si affianca a esigenze di miglioramento nella qualità e nella disponibilità alimentare nonché all’aumento della popolazione anziana. I fattori ambientali che contribuiscono alla longevità necessitano di essere sostenuti con maggiori spese da parte dello Stato sia in relazione alle pensioni che nei servizi sanitari.
L’invecchiamento della popolazione rappresenta un limite sempre maggiore alle scelte possibili all’interno di una capacità di spesa molto ridotta. Il caso dell’Italia è un emblema di ciò che accade o può accadere in altre parti del mondo; I politici sono sempre più inclini a dover scegliere tra soluzioni ugualmente impopolari tra gli elettori: aumentare le imposte sul reddito, innalzare l’età pensionabile o ridurre le prestazioni pensionistiche.
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