Con le riaperture delle attività economiche e con il graduale ritorno alla normalità, sembra arrivato il momento per l’Italia di saggiare la veridicità della crescita prevista anche dai dati ISTAT che per quest’anno e fino al 2022 ha stimato la crescita del PIL al +4,7%.
I dati di maggio sembrano certificare l’inizio della tendenza positiva, con un aumento dell’occupazione negli ultimi quattro mesi di 188.000 lavoratori a tempo determinato, compensati tuttavia da un crollo degli autonomi, diminuiti a maggio di 63.000 unità. Il mercato del lavoro rimasto paralizzato dal blocco dei licenziamenti e dalla contestuale anomalia dei consumi, modificati dall’assenza di libertà di circolazione, deve ritrovare la fiducia per nutrire la spinta imprenditoriale, senza la quale sarà difficile almeno sul medio periodo riportare l’occupazione ai valori del 2019 mancano a oggi 700.000 posti di lavoro.
L’Italia può tornare a crescere, solo se saranno compensate le carenze occupazionali attraverso l’incentivi al ceto medio e all’imprenditoria, attraverso una risposta che riporti equità nelle politiche fiscali, l’unica via per poter immaginare un impegno nell’economia del settore privato.
L’imprenditoria privata e gli investimenti nelle grandi opere come formula per la crescita italiana
Nonostante il blocco dei licenziamenti sono stati 560.000 gli Italiani che sono stati licenziati nel 2020, ma nell’arco degli ultimi dodici mesi i più colpiti sono stati i lavoratori autonomi, con 250.000 partite IVA in meno in meno rispetto all’ultimo anno. I nostri imprenditori compresi quelli internazionali, sembrano ora essere molto più fiduciosi, soprattutto dopo l’approvazione ufficiale del PNRR avvenuta questo 23 giugno, che darà una spinta economica soprattutto grazie agli investimenti nel settore dell’edilizia.
Nonostante la credibilità internazionale dell’Italia stia godendo in queste settimane di una significativa ascesa, il nostro Paese ha bisogno di superare i limiti di una pressione fiscale che ora più che mai è di ostacolo agli investimenti che possono arrivare dal ceto medio. A questo proposito il presidente Luigi Marattin ha rilevato per mezzo del lavoro svolto presso la commissione Finanze della Camera dei deputati diversi punti, dal taglio dell’Irpef alla revisione dell’Iva, fino al superamento dell’Irap, che raccolti in un rapporto che delinea la riforma fiscale, dovranno essere approvati entro il 31 luglio.
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Le modifiche previste nella riforma fiscale?
Questa riforma non sarebbe forse riuscita a essere realizzata senza la coesione parlamentare, che per questa riforma ha raggiunto più del 90% delle forze rappresentate in parlamento, frutto dallo stato emergenziale che per sei mesi a partire da gennaio di quest’anno, ha tenuto impegnati i rappresentati dei diversi partiti, al fine di rispettare le scadenze e trovare l’intesa raggiunta mercoledì sera. Il risultato è un documento articolato in due capitoli riguardanti la crescita dell’economia e semplificazione del sistema tributario, non ché l’abolizione delle misure e delle imposte ritenute anacronistiche. Le imposte che verranno modificate o completamente abolite riguardano le riduzioni delle tasse sul lavoro, dell’Iva, l’abbassamento dello scaglione Irpef tra 28.000 e 55.000 euro, comprese l’abolizione di decine di piccole tasse che in totale creavano un gettito di appena 650 milioni di euro lordi e andavano a pesare sul costo della burocrazia e sulla iniquità della pressione fiscale.
Nel frattempo il Governo Draghi ha deciso di mantenere invariato fino a Ottobre il blocco dei licenziamenti per il settore tessile e calzaturiero, i più colpiti dalla crisi economica dell’ultimo anno. Nella speranza che i prossimi quattro mesi possano riportare in equilibrio i consumi nel mercato interno, Mario Draghi può riuscire a garantire per la crescita economica e la buona tenuta fiscale dell’Italia. Da marzo 2020 la terza economia d’Europa è stata tra le più colpite dagli effetti delle misure restrittive, con un PIL che è crollato almeno del 9% e una spesa pubblica arrivata a 170 miliardi di euro soltanto per approntare gli ammortizzatori sociali e contenere la crisi economica.
La riforma fiscale in sinergia con il rinnovamento strutturale dell’Italia
Con la riforma fiscale e i nuovi investimenti per il rinnovamento strutturale dell’Italia, questo governo si impegna anche a rafforzare la sua già straordinaria economia circolare di cui è prima in Europa, per realizzare nuovi impianti di energia rinnovabile aumentando la capacità della propria rete energetica di 4000 megawatt. L’avversione al cambiamento è comunque forte, in questo periodo sembra rischioso usare il fisco come leva per accelerare la transizione ecologica, le parti temono infatti di impattare eccessivamente sulla ripresa delle aziende che hanno già avuto nell’ultimo anno rilevanti perdite economiche, in sostituzione di una tassazione sulla Co2 sono al momento preferibili strumenti per incentivare i comportamenti virtuosi, avvantaggiando così nella competizione le aziende più ecologiche.
Dal punto di vista degli impegni internazionali l’Italia potrebbe beneficiare di maggiori entrate fiscali derivanti dagli accordi che stanno prendendo piede tra le maggiori economie mondiali, prevedendo così come proposto all’ultimo incontro del G7 nel Regno Unito, di concertare una imposizione fiscale del 15% sulle multinazionali. Rimangono alte le aspettative per ciò che verrà deciso a partire da mercoledì 7 luglio in vista del prossimo incontro del G20, che si terrà proprio nel nostro Paese. Questa settimana è possibile capire quale sarà il livello di consenso raggiunto, considerando la possibilità di un’adesione anche da parte delle nazioni in via di sviluppo, che attendono l’approvazione delle altre economie prima di prendere posizione, temendo una perdita economica qualora non vi fosse un’adesione sufficientemente estesa da garantire che le multinazionali mantengano in assenza di alternative, i loro investimenti nei paesi aderenti. Le divergenze non dovrebbero comunque compromettere l’esito dell’iniziativa e concernono al momento richieste come quelle da parte degli Stati Uniti per un aumento dal 15 al 21%.