Le pensioni, un tema davvero scottante. Sogno e obiettivo per alcuni, chimera per altri. Si stanno gettando le basi per una riforma pensione, l’ennesima, vediamo qual è lo stato dell’arte…
Governo-Sindacati sono a confronto per trovare una, non facile, intesa strutturale e complessiva sulla nuova riforma delle pensioni. Si tratta ancora di un work in progress ma cerchiamo di capire come stanno le cose.
Trovare un accordo sulle pensioni entro la fine dell’anno è l’obiettivo che Governo e Sindacati si sono posti. Un segnale che l’intesa sia alla portata delle parti è data dalla Direttiva n. 28 del 2022 per l’azione amministrativa e la gestione per l’anno 2022 del Ministero del Lavoro: si tratta di un atto programmatico che gli obiettivi strategici e operativi e indica le linee d’azione che i dirigenti di 1° livello del Ministero dovranno sviluppare nel corso dell’anno.
Tra i criteri direttivi indicati vi è l’uso dello strumento del confronto e del dialogo con le parti sociali, per garantire un sistema previdenziale nuovo più flessibile ed equo.
La legge di Bilancio 2022 ha posto in rilievo anche il tema delle pensioni. Questo attraverso la proroga dei regimi in via sperimentale di APE sociale ed Opzione Donna e con l’introduzione di una nuova forma anticipata di pensionamento: “Quota 102”. Questa mira a favorire un ritorno generalizzato e graduale ai requisiti ordinari previsti con la riforma del 2011 per la pensione di vecchiaia, anticipata dopo la scadenza di “Quota 100”.
Da un lato si tratta di interventi dal notevole impatto, anche dal punto di vista mediatico, ma dall’altra hanno deluso le attese di chi (come i sindacati) sperava in una vera riforma strutturale. Ma forse si trattava solo di una serie di tentativi per garantire una maggiore flessibilità in uscita in tema previdenziale. E a conferma di questa impressione sono arrivati appunto i primi incontri tecnici, già a inizio anno, tra parti sociali e Governo.
Per ora si tratta solo di primi abboccamenti, infatti sul piano dei contenuti la partita sembra al momento ancora ben lontana da essere chiusa: se da un lato Governo e parti sociali condividono l’intenzione di rendere meno rigidi, grazie appunto ad una riforma strutturale e non con misure transitorie, i requisiti fissati con la riforma del 2011, le posizioni in campo appaiono molto distanti.
Le richieste dei sindacati sono ancora ancorate a quanto previsto nella piattaforma che fu presentata al Governo prima dello scoppio della pandemia. Vale a dire un doppio canale di uscita, che preveda la possibilità di pensionamento a partire dai 62 anni, senza penalizzazioni sul calcolo del trattamento; in alternativa, una volta raggiunto un requisito contributivo di 41 anni, a prescindere dall’età anagrafica.
Dall’altro lato c’è la posizione del Governo orientato a favorire una maggiore flessibilità in uscita solo a condizione che i lavoratori accettino un ricalcolo del trattamento pensionistico.
Fra le varie ipotesi di riforma messe sul tavolo della trattativa si è fatta strada la possibilità di diminuire l’importo-soglia mensile, pari a 2,8 volte la pensione sociale, ora previsto per avere accesso al pensionamento anticipato con 64 anni di età per coloro che si trovano nel sistema contributivo. Questa possibilità verrebbe estesa tale anche ai lavoratori del sistema misto, a patto che questi accettino un ricalcolo col sistema contributivo.
Questa misura permetterebbe a quell’ampia fascia di lavoratori che avevano versato contributi prima del 31 dicembre 1995 di accedere in via anticipata alla pensione, “pagando” il prezzo della flessibilità in uscita con una decurtazione del trattamento, in virtù del diverso sistema di calcolo.
Non è questa l’unica ipotesi sul tavolo, rimangono in campo opzioni alternative come quella, caldeggiata anche da Pasquale Tridico, presidente dell’INPS, che prevede un anticipo della sola quota contributiva della pensione a 62-63 anni, rimanendo ferma a 67 anni la quota retributiva.
La partita quindi appare ancora in salita. Spetta adesso a sindacati e Governo trovare un compromesso tra le differenti posizioni proposte, per riuscire a offrire, al contempo, la sostenibilità complessiva del sistema e una maggiore flessibilità in uscita per i lavoratori.
Soltanto così si potrà far passare alla storia il 2022 come l’anno in cui è stata promulgata una riforma strutturale fondamentale a lungo attesa.
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