Più la famiglia è numerosa, meno tasse si pagheranno. Questa può essere la sintesi della proposta sulla riforma del fisco per le famiglie.
Un “quoziente familiare” che rimette al centro una politica di incentivazione alle nascite tipico dei programmi di destra.
Il calo demografico è a tutti gli effetti un problema in grado di indebolire sistema pensionistico e mercato del lavoro. La presidente del Consiglio lancia così una proposta che pensa al presente ma anche alla sostenibilità futura del Paese. Il calcolo è preso a prestito da altre realtà come la Francia; Il reddito imponibile ai fini fiscali è proporzionato al numero dei componenti che compongono la famiglia.
Per finanziare la manovra dal costo di 6 miliardi di euro potrebbero arrivare dalla revisione e dalla cancellazione di una serie di bonus.
Il capitolo Fisco è stato particolarmente denso con il centrodestra in prima linea per riportare l’equità tra i cittadini e la pressione fiscale loro imposta. Rimane sul tavolo al momento al tempo indeterminato la flat tax, probabilmente troppo onerosa da sostenere almeno per il 2023.
Un’aliquota unica che deve essere inserita in modo graduale nel sistema fiscale; il primo passaggio, sarà l’allargamento del prelievo fisso del 15% alle Partite Iva e ai professionisti che dichiarano fino a 100 mila euro. Oggi la flat tax delle Partite Iva ha una soglia di 65 mila euro.
L’andamento del costo del lavoro in Italia ha subito un balzo deciso con la pandemia. Il dato paradossale porta il costo medio per dipendente in un anno di profonda crisi del lavoro dai 28,8 euro l’ora del 2019 a 29,7 nel pubblico, e a oggi di 29,3 nel settore privato.
Con costo del lavoro si intende il carico fiscale del datore di lavoro a fronte di contributi, tasse e altre voci spesa più piccole che esulano dallo stipendio. Il costo del lavoro escludendo l’inflazione, è rimasto quasi invariato almeno dal 2012 fino al 2019. Esso rimane tuttavia troppo alto; Nel 2021 l’Italia era terza in Europa con una imposizione pari al 28,3%. Solo in Svezia e Francia le tasse sul lavoro sono più alte e pari rispettivamente al 32% e al 31,9%.
Sperimentare la tassa piatta è un forte incentivo alla crescita degli investimenti nonché l’applicazione di un maggiore liberismo. Meno sussidi diretti e più libertà per il reddito prodotto attraverso il proprio lavoro che andrà nel tempo a riversarsi in nuove assunzioni e acquisti di beni nell’economia reale. Il dato è importante anche per aumentare gli investimenti dall’estero; sono troppi i Paesi che al momento ci fanno concorrenza, tra questi: Spagna e Germania al 25,9% e 22,2%, sotto la media europea.
La differenza tra il costo di un dipendente per l’azienda è quanto mai gravoso; se il dipendente incassa, per esempio, mille euro netti al mese, l’impresa ne ha sborsati 1.800. Il dato non è naturalmente uguale per tutte le classi di reddito e varia dal 80% per uno stipendio netto di 1000 euro al 210% dai 2000 euro in su.
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