Mancano pochi giorni al primo rialzo dei tassi BCE che lotta così per ridurre l’inflazione per raggiungere a tempo indeterminato l’obbiettivo del 2%.
I mercati attendono ciò che verrà detto alla fine di questa settimana lavorativa dalla presidente Lagarde in merito alle intenzioni di questi e dei futuri aumenti dei tassi di interesse.
L’esito più probabile è un aumento del costo del denaro dello 0,25%. I tassi sui depositi delle banche saliranno così al -0,25% dagli attuali -0,5%. Un aumento minimo quindi, che a seconda della direzione economica che l’eurozona prederà questa estate potrà essere incrementato.
La mossa della BCE sembra quasi più un segnale per i mercati che non una soluzione effettiva per l’inflazione record, che ha già raggiunto in Europa 8,5%. In un’economia sempre più esposta ai rischi di una crisi energetica, poco si può fare senza rischiare un effetto collaterale sulla crescita economia.
Politica monetaria ed effetti in Italia tra inflazione e cuneo fiscale
L’attendismo di questi mesi si è rivelata una necessità che ha aiutato l’eurozona solo sul breve termine. Mentre negli Stati Uniti la banca centrale ha potuto portare il costo del denaro al 2,50% nell’Eurozona sarà al -0,25%.
Il dato sull’inflazione in Italia a giugno è stato una sorpresa; passato dal 6,8 al 8% a causa soprattutto degli aumenti nel comparto energetico. Non si tratta solo di un fenomeno del sud Europa, il dato tedesco pur con una diminuzione tendenziale ha un’inflazione pari al 7,6%. Nell’intera eurozona il dato complessivo arriva al 8,5% segnando un record storico.
L’aspetto rilevante che differenzia la situazione europea da quella degli Stati Uniti oltre la diversa risposta della banca centrale Usa, è la variazione positiva degli stipendi. Nel nostro Paese l’Istat ha calcolato un aumento medio delle retribuzioni dello 0,8% nel primo trimestre. Anche ipotizzando un raddoppio nei mesi successivi in termini reali saremmo a oltre -6%. Mentre il costo della vita sale a livello continentale il governo Draghi cerca di fronteggiare la situazione con provvedimenti emergenziali come il taglio delle accise e delle bollette per le famiglie con redditi bassi. Questo è un segnale dell’incapacità di risolvere il problema alla radice, agendo solo sugli effetti con risultati che funzioneranno solo sul breve periodo.
Come compensare il caro prezzi abbattendo la pressione fiscale
Una possibilità concreta per impedire la spirale recessiva sarebbe quella di abbattere la pressione fiscale a carico del datore di lavoro o dello stesso lavoratore. Confindustria stima in 16 miliardi di euro le risorse necessarie per incrementare le retribuzioni di oltre 1.200 euro all’anno. Sarebbe uno stipendio in più che può compensare la perdita del potere d’acquisto, ma che risulta paradossale in un momento in cui si cerca di combattere in tutti i modi l’inflazione.
Per garantire l’efficacia della politica monetaria ci vorrebbe la fine della guerra e un ritorno verso una normalità difficile da immaginare ora. Con la quota di gas destinata all’Italia dalla Russia che potrebbe essere chiusa definitivamente qualsiasi pronostico in questo senso risulta difficile.