L’Inps e il rapporto sul lavoro e le retribuzioni; segnali preoccupanti sopratutto per le lavoratrici

Il lavoro in Italia diventa povero; anche per chi è protetto da un contratto nazionale guadagna meno di 9 euro lordi all’ora.

I lavoratori sotto la soglia di un salario minimo di almeno 7 euro netti sono 3,3 milioni, ovvero il 23,8% del totale. Meno di 780 euro al mese a cui si affiancano oltre 5 milioni di persone che percepiscono una pensione mensile inferiore a 1000 euro al mese.

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Se il contratto non garantisce buste paga adeguate, i contratti nazionali devono essere ripensati anche alla luce della perdita del potere d’acquisto. Il 10% delle retribuzioni mensili relative ai contratti nazionali si collocano sotto la soglia di 1500 euro.

La retribuzione media annua nel 2021 per i full time ammonta a 24.097 euro, in linea con il 2019 aumentano i contratti a tempo determinato, rendendo molto più bassa la retribuzione annua effettiva con una media di 7.870 euro. Dal 2005 al 2021 sono aumentati di quasi il doppio il numero di quei lavoratori con buste paga inferiori ai 1000 euro. Lo scorso anno erano circa 900 mila le persone con un reddito inferiore ai 5000 euro annui, inferiore anche a chi percepisce il reddito di cittadinanza.

I salari rimangono bloccati e la retribuzione delle lavoratrici rimane mediamente la più bassa

La distribuzione dei redditi si sta polarizzando in modo vistoso e la decrescita salariale sembrerebbe derivare dalla parcellizzazione della prestazione lavorativa. Se il mercato del lavoro appare sufficientemente dinamico i segnali preoccupanti arrivano dal fronte salariale che rimane stagnante.

Per quanto riguarda il fenomeno del gender gap da questo punto di vista per le lavoratrici le buste paga restano inferiori a quelle degli uomini. La differenza media è notevole con una retribuzione media di 24.415 euro, 15% inferiore a quella media complessiva e 25% più bassa di quanto percepito dagli uomini.

In Europa a differenza degli USA, non si sono ancora viste forti rivendicazioni salariali. Per ora. Negli anni ‘70 questa tendenza fu stroncata dalla delocalizzazione che ridusse il potere contrattuale. Per cambiare la situazione occorre cambiare la politica fiscale, riducendo la pressione fiscale per stimolare i consumi e aumentare la domanda di beni e servizi. La crescita economica che ne consegue renderebbe possibile una ripresa dell’occupazione e un ritorno alla crescita dei salari. Alle Banche Centrali e ai Governi spetta il compito di perseguire il fine equilibrando e indirizzando la liquidità immessa nel sistema.

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