Pochi giorni prima del nuovo incontro del G7, il parlamento cinese ha approvato una legge per proteggere la sua economia dalle sanzioni internazionali.
Già a gennaio di quest’anno nella legislazione cinese erano state introdotte delle misure al fine di far pesare le responsabilità delle aziende multinazionali, inclini a rispettare i dettami delle sanzioni internazionali. In un clima che sembra alimentare le reciproche diffidenze a fronte del consolidamento del blocco occidentale, Li Zhanshu, presidente dell’Assemblea nazionale del popolo, aveva anticipato in un suo discorso la preparazione di misure atte a proteggere l’economia cinese e contrastare le interferenze di quella che ha definito “la giurisdizione dal braccio lungo”.
L’espressione fa riferimento a tutti quegli episodi, dalla modificazione in senso autoritario della legislazione di Hong Kong alla repressione delle minoranze religiose dello Xinjiang, in cui gli Stati Uniti hanno espresso per mezzo delle sanzioni contro aziende e funzionari cinesi, la loro volontà politica.
Le autorità cinesi possono inserire in un elenco, anche grazie al loro sofisticato sistema di controllo sociale, tutte le persone coinvolte nell’esecuzione materiale o nel processo decisionale, delle misure restrittive in ambito politico economico, a discriminazione del governo e del popolo cinese. Le contromisure prevedono l’espulsione dal paese o il divieto d’ingresso, nonché il congelamento dei beni e l’impedimento di qualsiasi transazione finanziaria che riguardi altre persone nell’elenco, compresi eventuali soggetti non direttamente coinvolti dalla violazione delle norme.
Intanto Joe Biden, nel tentativo di portare avanti una politica basata sull’assenza di conflitti ideologici, ha approvato una bozza di legge, United States Innovation and Competition Act, per mezzo della quale verranno investiti 250 miliardi di dollari da destinare alle università e alle istituzioni di ricerca americane, al fine di competere con lo sviluppo tecnologico e militare cinese. Il testo di legge è riuscito a mettere d’accordo democratici e repubblicani, evidentemente spaventati all’idea di vedere sfumare la supremazia del paese in favore di quella che viene considerato oggi, dopo la Russia, la più grande minaccia per gli equilibri internazionali basati sulla leadership USA.
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L’ultimo G7, avvenuto questo fine settimana, ha portato delle novità in relazione alla volontà ora più palese di Joe Biden, di cucire dei rapporti più stretti con gli alleati europei, uniti nella diversità sotto il segno di un nuovo comune avversario, rappresentato da chiunque porta avanti dalle pratiche fuori dal senso di giustizia e legalità dei governi occidentali, come le violazioni dei diritti umani.
Biden vorrebbe contrastare l’influenza cinese in Europa, unendo la politica estera dei paesi membri e fortificando quelle che sono le misure atte a limitare l’alternativa alla guida economica USA. A questo proposito ha incoraggiato i paesi come Italia, Francia e Germania a investire nei propri settori di competenza, al fine di svilupparsi per evitare di cadere vittima dell’egemonia economico politica cinese, celata secondo il presidente USA dietro ai progetti come Belt and Road Initiative, il progetto del governo cinese finalizzato all’integrazione economica e geografica della regione euroasiatica, per mezzo di accordi commerciali e soprattutto la costruzione di infrastrutture, come porti e ferrovie.
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In questo scenario, l’Italia rappresenta l’esempio ideale di quelle che sono le preoccupazioni USA. Sin da quando il nostro paese è entrato negli accordi per la ‘Nuova via della seta’, si è sempre più avvicinata all’orbita cinese siglando numerosi contratti, dal nostro punto di vista e dell’Europa tutti legittimi, al fine di un reciproco vantaggio economico. Altri accordi che evidenziavano delle criticità per la sicurezza nazionale come il 5G, sono stati rigettati o approvati con clausole estremamente stringenti. L’autoritarismo di Cina e Russia spaventa gli Stati Uniti, dato anche il loro potenziale economico in grado di coinvolgere i paesi europei come l’Italia, tendenzialmente incline ad accettare accordi commerciali al fine di poter migliorare la sua economia.
Considerate anche le manovre fuori dai protocolli diplomatici della Russia, che oramai si può permettere interferenze quasi dirette sulla vita democratica dei paesi compresi gli Stati Uniti, con evidenti successi sull’immagine della democrazia liberale USA, come il fallito colpo di stato del 6 gennaio 2021. Più chiaramente, l’amministrazione Biden vorrebbe limitare quelle che dal suo punto di vista sono le pratiche commerciali a svantaggio degli Stati Uniti nei confronti di alcuni prodotti strategici, dai semiconduttori alle materie prime, fino alle terre rare, in grado di rallentare e addirittura fermare le catene di approvvigionamento e di conseguenza, danneggiare la filiera produttiva in svariati settori industriali. Per fare questo è necessario mettere in evidenza le disfunzioni del sistema di garanzie dei diritti politici e delle libertà individuali in Cina, come l’utilizzo dei lavori forzati per alcuni prodotti o parti di essi, che vanno poi a finire sui mercati internazionali.
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