Quella di quota 41 è una bella idea, ma c’è qualche dubbio sulle risorse necessarie per metterla in pratica. Rischia di essere una soluzione ponte.
In base alla simulazione effettuata dall’INPS, quota 41 necessita di 7,6 miliardi di euro. Il rischio è che questo interessante strumento di flessibilità, proposto dal nuovo esecutivo di centro-destra, possa rappresentare solo un palliativo, ovvero una soluzione temporanea e poco efficace.
Quota 41 potrebbe essere la soluzione per offrire maggiore flessibilità, nel 2023, ai lavoratori prossimi al pensionamento. Dopotutto, il 31/12/2022 scadranno diverse forme di pensionamento anticipato, lasciando come unica opzione disponibile la legge Fornero.
Ci stiamo riferendo la riforma pensionistica attuale, che prevede un requisito anagrafico di 67 anni e il versamento di almeno 20 anni di contributi. Questa forma di pensionamento è decisamente rigida, fermo restando che è disponibile anche nella versione anticipata ordinaria.
In tal caso, però, il lavoratore, per poter andare in pensione prima del sessantasettesimo anno di età (ovvero a 63 anni), deve aver maturato 40 anni i 10 mesi di versamenti, per le donne, e 41 anni e 10 mesi di versamenti, per gli uomini.
In alternativa, nel 2023, i lavoratori potranno sfruttare la misura Opzione donna, indirizzata solo in favore delle lavoratrici, e l’indennità Ape sociale, che non è una vera e propria pensione.
Per questo motivo il Governo è al lavoro per introdurre uno strumento di flessibilità. L’ipotesi più attendibile è legata a Quota 41.
La misura di pensionamento anticipato conosciuta con il nome di Quota 41 permetterebbe ai lavoratori in odore di pensione, di ritirarsi dal lavoro in anticipo, rispetto ai requisiti fissati dalla riforma Fornero.
In questo modo, infatti, i lavoratori non dovranno attendere il raggiungimento del 67esimo anno di età.
In base alle indiscrezioni delle ultime settimane, Quota 41 permetterebbe di accedere al pensionamento a 61 anni di età con 41 anni di versamenti contributivi. Fondamentalmente si tratta del meccanismo delle quote, fortemente voluto dalla Lega, e, in particolare, Quota 41 è una rivisitazione della ben nota Quota 102 (attiva nel 2022).
In base alle simulazioni effettuate dall’INPS sullo strumento di flessibilità Quota 41, a cui lavora l’esecutivo, per concedere ai lavoratori quest’opportunità servirebbero 7,6 miliardi di euro. Si tratta di costi effettivamente troppo alti; pertanto, visti gli spazi stretti rispetto alla Legge di bilancio 2023, si sta lavorando all’idea di una soluzione ponte.
Per tale ragione, il governo sta valutando altre opzioni.
Uscire dal lavoro con 41 anni di contributi e a 61 anni di età, con Quota 41, può essere un’interessante opportunità. Tuttavia, non sono ancora state fissate le modalità e le condizioni della misura. Così come specificato dal Ministro Calderone, il governo sta studiando altre opzioni tra cui, Quota 41 con 61/62 anni di età che costerebbe 5 miliardi l’anno oppure la proroga di Quota 102 flessibile.
Quest’ultima opzione prevede, dunque, la proroga di una misura già esistente per la quale rimarrebbero invariati i requisiti già previsti per il 2022. In sostanza, sarebbe possibile uscire dal mondo del lavoro con diverse combinazioni tra età anagrafica e età contributiva.
In particolare, i lavoratori avrebbero la possibilità di andare in pensione tra 61 e 66 anni d’età, con versamenti compresi tra 35 e 41 anni di contributi.
Ciò che conta è: la somma dei due valori deve dare come risultato 102.
Vi è, poi, un’altra opzione che rappresenta una strada intermedia tra quota 102 e quota 41. Si tratterebbe di una misura flessibile, che parte da un requisito anagrafico predefinito e sarebbe accompagnato da un meccanismo di premi, volto ad incentivare la permanenza al lavoro anche dopo il 63 esimo anno di età.
La misura prenderebbe il nome di quota 103 e erediterebbe il sistema delle quote: occorre raggiungere la somma 103, tra età anagrafica e età contributiva.
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