Dopo infinite discussione fra coloro che erano a suo favore e quelli che invece erano assolutamente contrari, “Quota 100” sta per terminare il suo ciclo. Vediamo che effetti questo avrà sui lavoratori.
La tanto discussa, amata, odiata, “Quota 100” sta vivendo ormai i suoi ultimi giorni visto che i termini per aderirvi stanno per scadere. E questo comporterà che alcune categorie di lavoratori saranno penalizzate dalla fine di questa opzione per un pensionamento anticipato.
Cosa è “Quota 100” e quando scadrà
La cosiddetta “Quota 100” è stata introdotta con l’articolo 14 del DL 4/2019, convertito con legge n. 26/2019, a partire dal 2019 in via sperimentale, limitatamente al triennio 2019/2021. Prevede la facoltà di andare in pensione al raggiungimento dei 62 anni, unitamente a 38 anni di contributi. La sperimentazione si rivolge a tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi assicurati all’INPS, che entro il 31 dicembre 2021 raggiungano i predetti requisiti. L’articolo 14, comma 1 del predetto DL, dispone che il diritto acquisito entro il 31 dicembre 2021 può essere esercitato anche successivamente alla predetta data (principio della cristallizzazione del diritto a pensione). Ciò significa che il lavoratore che abbia raggiunto i requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2021 può scegliere di andare in pensione anche in un momento successivo senza perdere questa possibilità.
Vediamo ora quali lavoratori saranno maggiormente penalizzati dalla fine di “Quota 100” nel prossimo anno.
Quali sono i lavoratori più penalizzati dalla fine di “Quota 100”?
Gli impiegati statali pagheranno pegno più di tutti. In quanto il prototipo del lavoratore del pubblico impiego è quello di una persona occupata in modo stabile e duraturo. E quindi è maggiormente in grado, rispetto per esempio agli impiegati del settore privato, di accumulare e di maturare i fatidici 38 anni di anzianità contributiva.
Vale appunto la pena ricordare che “Quota 100 è stata una misura introdotta con il chiaro obiettivo di agevolare il pensionamento anticipato proprio dei lavoratori statali. Questo per incentivare il ricambio generazionale nella Pubblica Amministrazione nostrana. Un obiettivo che però è stato raggiunto solo in modo parziale, e anche questa considerazione ha contribuito a decretare la fine del provvedimento in questione.
Gli scenari di uscita anticipata dal 2022…
Visto che dal prossimo anno la “Quota 100” non ci sarà più, cosa cambia per andare a godersi il tanto sospirato “buen retiro” senza dover attendere la maturazione di tutti i requisiti di pensionamento di vecchiaia?
Al riguardo il Governo è al lavoro da tempo per introdurre eventuali dei nuovi meccanismi di pensionamento anticipato o per rafforzare le altre misure di anticipo pensionistico già esistenti. Come Opzione Donna e, soprattutto, come l’APE Sociale. L’esecutivo capitanato da Mario Draghi,dal prossimo anno sembra essere orientato a garantire l’uscita anticipata ai lavoratori svantaggiati e fragili. Con l’APE sociale rinnovata, rafforzata ed estesa.
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Che cosa è l’APE Sociale
L’APE sociale, che era disciplinato all’inizio dall’articolo 1, co. 179 della legge 232/2016, è una sorta di reddito ponte, cioè un sussidio di tipo economico, a favore dei lavoratori che si trovino in prossimità della pensione e in particolari situazioni lavorative.
Per accedervi bisogna ovviamente aver raggiunto una certa età anagrafica, oltre ad un tot minimo di contributi versati. L’età minima di ingresso è di63 anni. L’APE è destinata solo per alcuni lavoratori dipendenti, per meglio dire quelli che sono iscritti all’Ago e ai fondi sostitutivi o ad essa esclusivi e i lavoratori che si trovino in gestioni speciali dei lavoratori autonomi. Vi possono far parte anche i lavoratori che fanno parte della gestione separata dell’INPS.