Depressione e lavoro: i disturbi psichici sono da intendersi come malattia, è quindi importante conoscere i propri diritti da lavoratori
La depressione è stata definita la malattia del secolo, un’ombra che avvolge milioni di persone in tutto il mondo e che non risparmia nessuna fascia d’età o categoria professionale.
Viviamo in una società sempre più frenetica, dove il tempo sembra correre più veloce della nostra stessa capacità di gestire emozioni: stress e difficoltà quotidiane sembrano ingoiarci, e senza accorgercene ci si ritrova coinvolti in un pericoloso loop nel quale tutto inizia a essere privo di senso. Il letto e il soffitto diventano i protagonisti di una paralisi, che viene spesso raccontata attraverso il colore bianco delle mura di casa.
La pressione lavorativa, le relazioni sociali instabili e l’assenza di momenti di reale introspezione secondo i medici contribuiscono a creare un terreno fertile per il malessere psicologico. Ad oggi quando si parla di depressione non si deve intendere uno stato d’animo passeggero, ma una patologia che può diventare invalidante per la vita quotidiana, soprattutto per la sfera lavorativa. La depressione infatti non è una malattia che si manifesta soltanto attraverso la tristezza o la mancanza di motivazione, ma anche con sintomi fisici più specifici come insonnia, stanchezza cronica e difficoltà di concentrazione.
Questi segnali possono compromettere la capacità di lavorare e mantenere un rapporto equilibrato con l’ambiente circostante, rendendo l’individuo uno straniero di se stesso. In una società basata sul lavoro, è chiaro che patologie così invalidanti diventano un problema molto più concreto di quanto si possa pensare: l’OMS parla di 280 milioni di persone affette da depressione nel mondo, e l’ISTAT in Italia evidenzia che circa il 6% della popolazione ha sofferto di episodi depressivi significativi.
Quanto tempo si può stare a casa per depressione
Si parla di una sfida sul piano sociale, ma anche economico, in quanto si stima che in Italia per il Sistema Sanitario Nazionale, la depressione mangia 4 miliardi di euro annui, tra trattamenti medici e assenze sul lavoro. È importante conoscere quali sono i diritti a livello lavorativo di coloro che vivono questa situazione. Qual è il limite tra la necessità di prendersi cura di sé stessi e il dovere professionale? E soprattutto, quanto tempo può una persona assentarsi dal lavoro a causa di una condizione come la depressione, e quali sono i rischi di questa assenza in termini contrattuali?
In Italia, la legge tutela i lavoratori che soffrono di depressione attraverso specifiche normative che regolano le assenze per malattia. Il periodo massimo di assenza consentito è definito dal comporto, ossia il lasso di tempo durante il quale il lavoratore ha diritto a conservare il proprio posto di lavoro. La durata del comporto varia in base al contratto collettivo nazionale di riferimento e può andare dai 3 ai 12 mesi.
Per usufruire di questo diritto è sempre necessario un certificato medico che attesti la diagnosi e la necessità di astensione dal lavoro. Esistono però casi particolari in cui il periodo di comporto può essere prolungato, ad esempio se la depressione è riconosciuta come una condizione di disabilità ai sensi della Legge 104/1992.
A parte queste poche eccezioni, superare il periodo di comporto può invece giustificare un’interruzione del contratto da parte del datore di lavoro. È dunque fondamentale che il lavoratore si informi sulle specifiche del proprio contratto per comprendere quali sono i suoi diritti previsti.