Siamo portati a considerare la soglia della ricchezza in base agli stereotipi, effetto di suggestioni mediatiche. Ma come si può definire oggettivamente?
È possibile considerare la ricchezza sotto svariati punti di vista, in senso culturale o dal punto di vista economico per esempio, ma anche valutando i parametri che possono essere considerati per definirla e misurarla. Certamente lo stereotipo dell’uomo ricco è mutato nel corso degli anni, tuttavia a essi sono sempre associati il possesso di beni esclusivi. L’immaginario collettivo di oggi è quello della villa con piscina, di auto di lusso e aereo privato, ma in questo modo si è finiti per sovrapporre completante il concetto di lusso a quello di ricchezza.
Di conseguenza si è portati a pensare che per essere ricchi si debbano possedere beni del valore di centinaia di migliaia di euro, o avere un patrimonio di milioni se non di miliardi. L’ammontare del valore patrimoniale rende una persona ricca anche se questa non è poi in grado di sostenerne le spese o avvantaggiarsi rispetto alla sua condizione lavorativa?
Se il dubbio appare lecito è evidente che non è possibile definire la ricchezza in termini di beni che si hanno a disposizione quanto a una capacità di procurarseli in relazione alla soddisfazione dei propri bisogni.
Perché si desidera diventare ricchi?
Una delle variabili per le quali si desidera diventare ricchi e si può essere considerati tali è quando è possibile sostenere il proprio tenore di vita anche senza la necessità di lavorare. Questo significa che una persona per poter essere definita ricca dovrebbe essere riuscita a creare delle entrate completamente passive.
Sono da escludere in questa considerazione le entrate così dette automatiche, come quelle generate dalle attività economiche scalabili, ovvero quelle che possono accrescere il loro volume d’affari, anche in maniera esponenziale, senza tuttavia aumentare l’impiego di risorse per sostenerne la crescita. Un esempio concreto di business scalabile può essere la scrittura di un libro, un sito internet, la programmazione di un software, la registrazione di un disco musicale, un rendimento finanziario come quello generato dal trading oppure la produzione di un qualsiasi servizio multimediale. Tuttavia ognuna di queste attività presenta un grado minimo di lavoro al fine di poterle gestire e mantenere attiva la rendita da esse generate.
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Una rendita veramente passiva può essere rappresentata dagli interessi su un conto corrente o un titolo di stato a lunghissima scadenza, che al netto delle spese di gestione, escludendo quindi l’assenza del proprio intervento, generino degli interessi in grado di eguagliare o superare il reddito necessario per mantenere lo stile di vita desiderato.
Nel caso italiano, se per sostenere il proprio stile di vita fossero sufficienti 1200 euro al mese, servirebbe almeno un milione di euro per poter essere definiti ricchi, a patto che gli interessi, nel caso ad esempio di un deposito bancario, siano almeno al 2% all’anno e le imposte non superassero il 26%. Se acquistassimo invece BTP a parità di rendimento e un’imposta del 12,5% considerando tuttavia un minimo grado di rischio, basterebbero circa 800.000 euro.
Una cifra sicuramente importante, ma non così straordinaria come l’immaginazione potrebbe rappresentarla. Ancora più bassa è la cifra considerando il numero di mesi o anni in cui è possibile andare avanti col proprio stile di vita, smettendo improvvisamente di lavorare. A un età compresa tra 35 e i 40 anni senza considerare alcuna rendita e immaginando di vivere fino agli 85 anni, sarebbero sufficienti all’incirca 700.000 euro
Una grossa differenza nella valutazione del parametro con il quale una persona può essere definita ricca è quella considerata secondo una terza definizione. In Italia infatti per essere considerati ricchi, in base al reddito medio secondo i dati ISTAT e la collocazione tra 1 e 2% della popolazione, occorre percepire un reddito mensile tra i 6.700 e i 9.200 euro.
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L’economia e le sue definizioni di ricchezza
Il PIL è probabilmente uno degli strumenti di maggiore successo sviluppato dalle scienze sociali. Esso è in grado di combinare in modo funzionale caratteristiche teoriche e utilità pratica, tuttavia esso negli anni è stato criticato per non aderire a quei parametri che rendono comprensibile il dato, di quegli aspetti economici che producono effetti di ritorno, che possono essere calcolati come costi sociali.
Dalle rilevazioni effettuate, si può notare accostando il valore del PIL pro capite per ogni paese, ai sondaggi sul benessere e la felicità della popolazione, come questa non solo non cresca in modo coerente al crescere del dato, ma comincia ad avere una correlazione negativa una volta superata una certa soglia nel valore del PIL
La correlazione tra la felicità e la ricchezza, oltre naturalmente alle critiche che possono essere fatte all’affidabilità della percezione soggettiva degli intervistati, è indice dell’incapacità di questo dato di cogliere quelle che sono le caratteristiche di merito, che la ricchezza dovrebbe rappresentare sul piano della qualità per gli individui e l’ambiente nel quale vivono. Quando la correlazione positiva tra l’aumento dei consumi o l’accrescere del proprio reddito tende a svanire, è facile capire come la ricchezza disponibile non prende in considerazione i costi sociali che vengono scontati individualmente. Per questo motivo le Nazioni Unite già nel 1990 hanno tentato di porre un correttivo alla stima del PIL introducendo un indicatore chiamato “Indice di sviluppo umano” (ISU) comprensivo di reddito, aspettativa di vita e tasso di scolarizzazione medi della popolazione.
L’ISU o Human Development Index integra naturalmente nella sua stima il calcolo del PIL, costituendo una variante che sia comprensiva di quegli aspetti positivi insiti nel concetto di ricchezza, senza i quali sarebbe impossibile considerare in modo realistico la relazione tra il dato e ciò che pretende di rappresentare e di misurare.