Ti sei mai chiesto se le spese per una colf che si prende cura di un invalido possano davvero alleggerire il peso delle tasse? Una recente decisione ha cambiato le carte in tavola e potrebbe fare una grande differenza per tante famiglie.
Non tutti i contribuenti sanno che anche l’assistenza prestata da chi non ha un titolo professionale specifico può rientrare tra le agevolazioni fiscali. E c’è una storia concreta, quella di Linda, che lo dimostra con forza. Una svolta arrivata silenziosa, ma che ha il potere di migliorare la vita quotidiana di chi già affronta grandi difficoltà. Leggi fino in fondo, perché potrebbe riguardare anche te o qualcuno che conosci.

Linda ha 48 anni e si divide tra lavoro part-time, figli adolescenti e la cura della madre, invalida al 100% dopo un ictus. Per starle accanto e permetterle di restare in casa, ha assunto Paola, una colf che l’aiuta sia con le faccende che con l’assistenza personale. Paola non è un’operatrice sanitaria, ma ha esperienza, empatia e si è guadagnata la fiducia della famiglia. Quando Linda ha presentato la dichiarazione dei redditi, ha incluso le spese sostenute per Paola tra quelle deducibili. Ma l’Agenzia delle Entrate ha tagliato tutto, sostenendo che mancava una qualifica professionale specifica per l’assistenza.
Quel rifiuto è stato un duro colpo, non solo economico. Linda si è sentita messa in discussione, come se la sua scelta, umana, pratica e necessaria, non avesse valore per lo Stato. Ma poi è arrivata una decisione della Cassazione che ha rimesso tutto in discussione, e ha dato ragione a chi, come Linda, fa il possibile per tenere a casa e accudire con dignità un familiare non autosufficiente.
Una sentenza che cambia le prospettive fiscali
Con l’ordinanza n. 449 del 9 gennaio 2025, la Corte di Cassazione ha chiarito che le spese per un collaboratore domestico sono deducibili anche se chi presta l’assistenza non ha una qualifica professionale specifica. È un principio che nasce da un caso molto simile a quello di Linda, e che ha visto i giudici smentire l’impostazione dell’Agenzia delle Entrate. Secondo la Corte, non si può negare la deducibilità solo perché manca un titolo formale, se l’assistenza è reale e riguarda una persona con disabilità grave.

Questa decisione cambia tutto: riconosce che l’assistenza familiare ha valore anche quando è svolta da persone senza attestati. E, soprattutto, garantisce un sostegno fiscale a chi ogni giorno affronta situazioni complesse con risorse limitate. Per Linda, ha significato vedere riconosciuto il proprio impegno, ma anche riavere indietro parte di quanto aveva speso.
Il messaggio che arriva da questa sentenza è forte: il diritto alla deduzione non dipende dal diploma di chi aiuta, ma dal bisogno concreto della persona assistita. Un riconoscimento importante, che potrebbe riguardare molte famiglie italiane. E tu, lo sapevi?