Arriva così la risposta alla pressione che i paesi “ostili” hanno imposto come conseguenza dell’invasione dell’Ucraina. Il Cremlino punta a colpire grandi società nel settore dell’energia.
La decisione del Governo di Mosca impedisce l’importazione di petrolio e carbone nonché di vendere pacchetti azionari relativi al settore dell’energia e delle banche fino alla fine dell’anno.
Oltre a questo la sicurezza energetica dell’Europa ha subito un altro colpo dopo che i flussi di greggio russo che passano per l’Ucraina verso Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca sono stati interrotti. La crisi energetica aumenta la pressione sull’inflazione amplificando il rischio di recessione. Ukrtransnafta JSC che gestisce la rete di oleodotti ucraini ha smesso di fornire servizi di trasporto di petrolio il 4 agosto.
La lista dei gruppi e degli asset congelati dovrebbe essere definita questa ma nel mirino ci sono obbiettivi come giganti del settore tra cui ExxonMobil ma anche Enel. Rimane così sotto pressione il mercato energetico lasciando le società quotate all’incertezza degli investitori. La decisione già comunicata diverrà infatti ufficiale solo finché si avrà l’elenco completo delle società che rientrano nel divieto. Nel frattempo è possibile chiudere le transazioni con evidente danno delle società che si sospetta rientrare nel divieto. Il decreto lascia infine la possibilità di vendere le azioni con un permesso speciale del Presidente Putin.
In maniera più diretta oltre a questo le sanzioni colpiscono l’Ue vietandole di importare il carbone dalla Russia. L’entrata in vigore della misura impedirà così l’approvvigionamento della materia prima dal principale fornitore. Da sola, Mosca ha spedito fino allo scorso anno quasi la metà del totale delle importazioni di carbone dell’Ue, per un totale di 4 miliardi di euro. Una misura calcolata sulla scia di una guerra commerciale di logoramento economico a cui si aggiunge il rincaro del gas; il prezzo il prezzo sulla piazza di Rotterdam ha raggiunto il quadruplo di quelli registrati un anno fa, sfiorando i 400 euro a tonnellata.
Oltre le società energetiche ancora coinvolte in Russia ci sono anche le banche come Unicredit. L’istituto ha già ridotto significativamente la propria esposizione ed è al lavoro per riuscire a vendere le proprie attività riducendo al massimo le perdite. Ancora oggi l’esposizione verso la Russia è diretta perché collegata all’Unicredit Bank Russia. Oltre questo Unicredit ha un giro d’affari nel Paese grazie all’attività della controllata tedesca Hvb.
Discorso simile per Intesa Sanpaolo che ha fortemente limitato l’esposizione nel Paese, ma le strategie di uscita appaiono al momento ancora poco chiare. Data la limitata permanenza, l’impatto sull’utile e sul capitale dovrebbe essere contenuto, considerando la solidità finanziaria dei clienti russi e la resilienza del circuito locale.
Per queste due banche L’outlook sul 2023 è più incerto perché più coinvolte da rischi di ribassi più estesi; oltre al contesto economico generale, si legano anche alla crisi energetica e all’instabilità nella regione.
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