Il periodo di comporto costituisce una ulteriore garanzia per il lavoratore dipendente che, in virtù di esso, non può essere licenziato per tutta la sua durata. Per i disabili detto lasso di tempo può essere maggiore?
Le questioni che può porsi un lavoratore, in merito a taluni aspetti del suo contratto, sono talvolta facilmente risolvibili – prestando la dovuta attenzione alle regole contenute nelle leggi e nel Ccnl di categoria. vi sono anche situazioni che abbisognano di un approfondimento specifico.
Pensiamo ad esempio al cd. periodo di comporto e ai disturbi di salute che si ricollegano allo stato di invalidità. Il lavoratore disabile ha diritto ad un numero maggiore di giorni di malattia, rispetto ad un lavoratore che si trova in normali condizioni di salute? In effetti nelle norme del diritto del lavoro non è contenuta la risposta precisa a questa domanda, tanto che più volte sono stati i giudici a indicare l’orientamento da seguire.
Nel corso di questo articolo vedremo dunque se i lavoratori con un handicap accertato possono davvero godere di un periodo di comporto più esteso, oppure no. I dettagli.
Onde fare chiarezza sulla questione accennata, giova ricordare anzitutto che il periodo di comporto consiste in un lasso di tempo nel quale il lavoratore dipendente, che per malattia può non recarsi a lavoro per svolgere le proprie mansioni, ha comunque diritto alla conservazione del posto – senza cioè dover temere di essere licenziato.
Oltre alla legge (per gli impiegati), sono i singoli contratti collettivi a disciplinare in materia (per gli operai) e, dunque, a stabilire qual è il tetto massimo di assenze, superato il quale il datore di lavoro è libero di recedere unilateralmente. La motivazione del recesso è legata alla necessità di evitare danni all’organizzazione e/o produttività aziendale, causati dalla perdurante assenza del lavoratore. Non bisogna però dimenticare che quasi tutti i contratti di lavoro, in ipotesi di superamento di questo lasso di tempo, permettono al lavoratore di domandare ed ottenere un ulteriore periodo di aspettativa non retribuita.
E la giurisprudenza ha peraltro chiarito che è legittimo anche il licenziamento dell’invalido per superamento del periodo di comporto, al di là dello stato di invalidità in sé. Ciò però tranne il caso in cui le assenze per malattia siano causate da una colpa del datore di lavoro che gli ha assegnato attività incompatibili con il suo handicap, oppure il caso in cui l’infortunio sul lavoro è stato causato dalla non adozione delle opportune misure di sicurezza da parte dell’azienda.
La domanda iniziale merita certamente una risposta precisa, anche perché non sono pochi coloro che si sono chiesti se davvero il periodo di comporto debba ritenersi uguale per tutti i lavoratori subordinati, al di là della loro eventuale condizione di disabilità, o se piuttosto ai dipendenti con un handicap acclarato vada riconosciuto un periodo di comporto più lungo. Con il risultato che altrimenti potrebbe aversi una implicita discriminazione contro i disabili a lavoro.
Recentemente i giudici hanno trattato questi argomenti, tenendo in stretta considerazione l’art. 3 della Costituzione italiana, riguardante uno dei nostri principi fondamentali, ovvero quello di uguaglianza. Applicando detto articolo alla lettera, la conseguenza è che se si riconosce al lavoratore disabile lo stesso periodo di comporto di una persona senza problemi di salute, saremmo innanzi ad una violazione del citato principio. Infatti, in base a quest’ultimo, se situazioni identiche tra loro devono essere trattate in modo identico, analogamente situazioni differenti debbono essere trattate in modo diverso. E chiaramente un lavoratore in condizioni normali di salute è in una situazione differente rispetto ad un lavoratore invalido.
Queste considerazioni sono alla base di provvedimenti della magistratura che hanno di fatto ammesso e riconosciuto un periodo di comporto più esteso.
Non dimentichiamo che i contratti collettivi possono peraltro estendere il periodo di comporto in ipotesi di malattie lunghe, cui si collega la necessità di cure e trattamenti specifici post operazione, terapie salvavita e di una conseguente gestione flessibile dei tempi di lavoro, a favore del dipendente con problemi di salute.
Inoltre, secondo varie sentenze dei giudici, laddove il lavoratore patisca un problema di salute cronico, che lo rende di fatto invalido, è statisticamente più soggetto ad assenze da lavoro, rispetto ad un lavoratore in buona salute.
Lo rimarchiamo: secondo vari tribunali, ritenere applicabile ad un soggetto disabile lo stesso periodo di comporto valevole per un soggetto senza handicap, va contro il sopra citato principio di parità di trattamento e il divieto di non discriminazione, per cui situazioni diverse meritano un trattamento diverso. Ciò a maggior ragione quando le condizioni di salute conducono ad uno stato di disabilità durevole nel tempo e accertata: per più giudici, insomma, prevedere lo stesso periodo di comporto – al di là della possibile disabilità del lavoratore assente – costituisce un caso di discriminazione indiretta.
Concludendo, onde fare piena luce sui rapporti tra periodo di comporto e disabilità del lavoratore, sarebbe opportuno un dettagliato intervento del legislatore sul tema, che indichi con precisione le norme sul tema, auspicabilmente facendo proprie le conclusioni della giurisprudenza.
Il 2025 sarà l’anno di uno scoppio della bolla speculativa creatasi sull’AI? Alcuni studi mettono…
Se avete intenzione di affittare casa questi consigli potrebbero servirvi per risparmiare: ecco quando scegliere…
Nuovi aiuti per le famiglie con bambini, le istituzioni scendono ancora in campo offrendo un…
Per accedere all'Assegno di Inclusione anche nel 2025 si dovranno rispettare tutti questi nuovi requisiti.…
Tra i settori emergenti con opportunità di alto rendimento c’è il CCUS (Carbon Caputer, Utilization…
Quali sono i maggiori problemi che incontra chi deve cercare un lavoro a 50 anni?…