Perché le classi meno abbienti votano i politici che consolidano le disuguaglianze sociali: sveliamo una delle dinamiche più potenti e perverse

La chiusura paranoide delle classi meno abbienti e la vittoria di partiti politici che non hanno interesse ad intervenire sulle disuguaglianze sociali 

La politica, nei suoi meccanismi più intricati, non è solo il risultato di scelte razionali basate su interessi materiali, sappiamo bene che invece sia un complesso intreccio, frutto di dinamiche psicologiche e sociali che sfuggono a una semplice analisi economica. In numerosi Paesi le classi meno abbienti continuano a votare per forze politiche che sembrano perpetuare – e in certi casi addirittura consolidare – le disuguaglianze sociali.

donna povera
Perché le classi meno abbienti votano i politici che consolidano le disuguaglianze sociali: sveliamo una delle dinamiche più potenti e perverse- trading.it

Questo fenomeno, apparentemente paradossale, ha attirato l’attenzione di studiosi e analisti politici. Analizzando nel profondo una serie di meccanismi complessi e multifattoriali sono riusciti a spiegare la radice del paradosso. Sono dinamiche perverse protagoniste del nostro vivere nel sociale come elettori attivi, che spingono le fasce più povere della popolazione ad optare per scelte politiche apparentemente contrarie ai loro interessi economici.

Un’introduzione ai meccanismi del Voto nelle fasce svantaggiate

Per comprendere appieno questo fenomeno, è necessario considerare che le decisioni politiche non si basano esclusivamente sul calcolo dei costi e dei benefici materiali nel lungo termine, bensì sono fortemente influenzate da processi psicologici e culturali, nonché dal piano emotivo. Le persone che vivono in condizioni di svantaggio economico, anziché adottare comportamenti che favoriscono il proprio interesse economico, spesso si trovano intrappolate in dinamiche che rafforzano lo status quo.

povero che fa l'elemosina
Un’introduzione ai meccanismi del Voto nelle fasce svantaggiate – trading.it

Queste dinamiche possono derivare da una serie di fattori, come la necessità di mantenere un senso di ordine e stabilità, il timore del cambiamento o l’influenza di narrative culturali profondamente radicate, che giustificano le disuguaglianze esistenti. La System Justification Theory, ad esempio, suggerisce che gli individui, anche se svantaggiati, tendano a difendere l’ordine esistente per ridurre la dissonanza cognitiva e mantenere una percezione di legittimità del sistema.

Allo stesso tempo, la percezione di inefficacia politica e l’incapacità di vedere il proprio voto come uno strumento di cambiamento portano a una sorta di chiusura nei confronti dell’esterno, una chiusura paranoide e di apatia, ancorandosi così a forme di clientelismo politico, a discapito di riforme strutturali di lungo termine. Come racconto anche nel mio saggio Melanconia espressione dell’epoca (2022), lo psicanalista Christopher Bollas ha studiato gli effetti dei discorsi di Trump sugli agricoltori del Dakota e, tralasciando il ruolo politico che può compiacere o meno, l’efficacia del suo impianto comunicativo si è rivelata illuminante (nell’accezione più terribile del termine).

Gli abitanti del Dakota facevano parte di un popolo che si fondava ancora su una tradizione orale: erano abituati alle storie, più che alla lettura dell’informazione e dei giornali, e ciò era anche caratteristica predominante del contesto rurale che vivevano, che imponeva una vita semplice con ritmi intensi. Probabilmente, per i giornali non avevano neanche tempo. Questa fetta di popolazione (che poi è protagonista della prima elezione di Trump) riusciva ad essere galvanizzata non da fatti comprovati, bensì dalle emozioni.

La presidenza Trump smuoveva e smuove sentimenti (senza connotazione positiva o negativa del termine). È facile comprendere come l’emotività smossa dai discorsi di Trump si trovasse in linea con la tradizione orale ben cara ai cittadini del Dakota, fondata sul ‘ho sentito che…’. L’idea di base dei discorsi trumpiani è un esempio perfetto per comprendere queste dinamiche: perché i cittadini dovrebbero votare una personalità come la sua? Perché, emotivamente parlando, dà sicurezza puntando sulla coesione interna del gruppo (America great again), cercando un ‘nemico’ simbolico esterno (dazi nell’import e muri di confine).

In questo senso, i cittadini percepiranno di meno la differenza ricco-povero perché il discorso sarà focalizzato altrove, su un nemico che non è dentro i confini, ma fuori. Nel saggio ho riportato anche diverse analisi dello psicanalista Massimo Recalcati. Quest’ultimo asserisce che in psicologia l’odio viene visto come un’impossibilità di elaborare le ferite interne, spesso causate dal contesto esterno, che poi vengono ‘ereditate’ nel tempo, di generazione in generazione (vedi i conflitti, le leggi razziali etc).

Quel dolore radicato in noi stessi, spesso protagonista delle classi meno abbienti, ma anche degli eredi di guerra, spesso non viene metabolizzato, e mostra i suoi frutti anche nel contemporaneo. In questo senso, il politico fa leva sulla ‘paranoia’ del proprio pubblico, che si chiude nei confronti dell’esterno con una vera e propria risposta di chiusura paranoide. Questo rifiuto lo fa diventare anche meno avvezzo a informarsi: resta più semplice sentire il messaggio rassicurante del politico, piuttosto che analizzare la malattia che dilaga nel contesto sociale che vive: l’attenzione è dirottata altrove.

Meccanismi psicologici alla base del voto: il sé paranoide nelle famiglie meno abbienti

1. Teoria della Giustificazione del Sistema (System Justification Theory)

Gli individui svantaggiati spesso difendono il sistema che li opprime per ridurre la dissonanza cognitiva, cioè l’incongruenza tra la loro posizione economica e la percezione che il sistema sia legittimo e inevitabile. Studi come quelli condotti da Jost et al. (2003) mostrano infatti come anche i gruppi marginalizzati possano sostenere strutture sociali ingiuste, giustificando politiche come i tagli fiscali per i ricchi attraverso la narrativa del “trickle-down economics”.

famiglia povera in campagna
Meccanismi psicologici alla base del voto: il sé paranoide delle famiglie meno abbienti  -trading.it

Questa logica, sebbene paradossale, offre un senso di ordine e stabilità. Immaginando una persona che vive in un quartiere povero e ha poche opportunità di miglioramento economico: anche se le politiche governative sembrano penalizzarla, questa persona può iniziare a credere che “tutti devono lavorare sodo per migliorare la propria situazione” e che, di riflesso, le regole attuali, anche se sfavorevoli, siano naturali e giuste.

2. Efficacia politica percepita

Quando le persone percepiscono che il proprio voto non possa cambiare significativamente le dinamiche del potere – una realtà spesso confermata dalla reattività dei politici alle élite economiche – si sviluppa un sentimento di apatia o disimpegno. Bartels (2008) ha evidenziato come questa percezione alimenti il cinismo tra i cittadini meno abbienti, spingendoli a votare per opzioni che non rappresentano una vera alternativa, ma che rafforzano il sistema dominante, come bias di conferma.

3. Pensiero a breve termine (Temporal Discounting)

L’insicurezza economica porta molti a preferire benefici immediati, anche se temporanei, piuttosto che investire in riforme strutturali che potrebbero garantire un miglioramento nel lungo termine. Un chiaro esempio si è verificato in Brasile, dove il programma Bolsa Família ha garantito sostegno a breve termine, consentendo ai politici di mantenere il consenso popolare nonostante l’adozione di politiche neoliberali che, a lungo termine, andavano a minare la maggioranza.

In molti paesi in via di sviluppo, esistono programmi di assistenza che forniscono sussidi alimentari o denaro in contanti a famiglie a basso reddito. Queste misure, sebbene possano rappresentare un aiuto immediato, spesso non affrontano le cause strutturali della povertà.

4. Simboli culturali vs. Interessi materiali

Spesso, questioni identitarie e culturali, come quelle legate alla religione o all’immigrazione, assumono un ruolo preponderante nel mobilitare il voto. Studi come quello di Frank (2004) in What’s the Matter with Kansas? dimostrano come abbiamo già illustrato nel paragrafo precedente, che in paesi come per esempio gli Stati Uniti, i conservatori riescano a mobilitare l’elettorato su temi controversi come l’aborto, deviare l’attenzione dalle vere questioni economiche.

Un elettorato in un’area rurale può essere spinto a votare per un partito che promuove una forte retorica nazionalista e che si oppone a politiche di immigrazione, ad esempio. Anche se, da un punto di vista economico, tali politiche possono ridurre gli investimenti o le opportunità di sviluppo locale. Questo perché si fa invece focus sul legame emotivo e identitario con il nazionalismo. Le persone voteranno il partito perché si sentiranno “orgogliose” della propria identità e unificate da questo, non dall’economia, bensì da un ideale. Il concetto di egemonia culturale, sviluppato da Gramsci (1971), spiega come i media e le istituzioni culturali contribuiscano a plasmare l’opinione pubblica, associando la povertà a una presunta “mancanza di impegno” e riducendo così la pressione per riforme radicali.

5. Populismo di destra e diversione

Politici che fanno leva su retoriche nazionaliste e anti-immigrati sono in grado di deviare l’attenzione delle fasce meno abbienti dalle problematiche economiche concrete. L’esempio della Brexit: il voto delle aree deindustrializzate del Regno Unito è stato influenzato da una narrazione populista che faceva leva su identità e paure.

Per interrompere questo circolo vizioso è fondamentale intervenire anche sul piano culturale e informativo: non è facile uscire da schematismi così ancorati al sociale, ma una lotta decisa contro la disinformazione e la promozione di una narrazione alternativa possono essere almeno un inizio ideale per una lentissima trasformazione del sistema politico.

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