Il nodo pensioni è duro da sciogliere. Sul tavolo del Governo le modifiche al sistema pensionistico sembrano avere priorità.
Cosa succederà alle pensioni dal prossimo anno? La situazione appare per certi versi abbastanza confusa. Da un lato, per coloro i quali già da tempo godono dell’assegno mensile statale non dovrebbe esserci alcun problema, anzi, previsti in alcuni casi aumenti di importo dovuti alla variazione del costo della vita. Dall’altro abbiamo invece tutti quelli prossimi al pensionamento che ancora, ad oggi, non hanno ben in mente quale sarà la situazione che li vedrà coinvolti nel breve termine. Il Governo ipotizza soluzioni, vaglia ipotesi, ma al momento tutto è ancora bloccato.
Nelle ultime settimane, cosi come trapelato da fonti vicine all’esecutivo sono state numerose le modalità prese in considerazione per modificare in qualche modo il sistema pensionistico vigente. Si è parlato di estensione della cosiddetta Ape socal e di Quota 102. Inoltre non è ancora arenata l’ipotesi Opzione donna, con l’innalzamento dell’era pensionabile a 60/61 anni invece dei consolidati 58/59, nei casi specifici. Il rischio, oggi più che mai realtà è quello di tornare alla riforma firmata dalla ex ministra Fornero. Non è da escludere, inoltre, “Opzione tutti”, che offre la possibilità di pensionamento a 63 anni con assegno interamente contributivo.
Nodo pensioni: le anime del Governo lontane dal trovare un accordo concreto
Le varie anime che compongono l’attuale Governo guidato da Mario Draghi spingono per soluzioni che al momento sembrano portare le più vantaggiose garanzie. Quello che sta più a cuore all’esecutivo, in questa fase, è contenere la spesa pubblica, quindi virare verso una modifica, verso un sistema che garantisca il minor esborso possibile di denaro. La maggioranza in Parlamento sembrerebbe tendere per la cosiddetta Opzione donna che consentirebbe di lasciare il lavoro con 35 anni di contributi e 58 anni di età (per le lavoratrici dipendenti) oppure 59 (per le autonome). L’opzione secondo molti potrebbe essere addirittura estesa a tutti , consentendo un netto risparmio per le casse dello Stato.
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La linea comune potrebbe quindi portare alla possibilità di andare in pensione a 63 anni con almeno 20 anni di contributi previdenziali versati. In questo caso, però, sarà preso in considerazione l’integrale calcolo contributivo, fattore che determinerà una netta sforbiciata, per cosi dire, all’assegno mensile. L’opzione piace al Governo ma soprattutto piace ai sindacati. Al momento, l’accordo sembra possibile e la modalità descritta potrebbe essere scelta per garantire un degno funzionamento dell’intero sistema. Nel Governo ancora si discute, e probabilmente lo si farà ancora per qualche settimane, ma la decisione finale sembra essere vicina.