Crisi dell’energia, l’inflazione alle stelle e spread sono gli ostacoli maggiori sulla possibile riforma delle pensioni.
Il centrodestra e soprattutto la Lega reclama a gran voce il bisogno di evitare il ritorno alla legge Fornero.
È in gioco l’immagine della coalizione che tuttavia si trova a dover impostare la riforma delle pensioni sotto il gioco di numerose tendenze che ne ostacolano la messa in opera. La flessibilità dei conti pubblici necessaria al nuovo governo è limitata dal bisogno primario di erogare sussidi a famiglie e imprese sotto gli aumenti del costo dei beni energetici.
La preoccupazione più grande è che la politica si trovi da una parte a dover tenere sotto controllo l’inflazione e la politica fiscale e dall’altra sostenere i consumi. La questione è stata messa in primo piano quando i responsabili politici globali si sono incontrati per le riunioni annuali del Fondo monetario internazionale. L’evidenza è la discrepanza tra la volontà dei governi e le politiche monetarie delle banche centrali.
In questo contesto i funzionari della Bce hanno sollecitato per mesi affinché le misure di sostegno per famiglie e imprese siano monitorate, evitando di alimentare ulteriormente l’inflazione.
A fine anno scadrà quota 102 che consente a oggi ai lavoratori di andare in pensione con almeno 64 anni di età e 38 anni di contributi. Lo stesso destino sarà per quota 100 che certamente non sarà rinnovata per il sistema delle quote, che finisce per gravare eccessivamente sui conti pubblici.
L’obbiettivo del centrodestra e soprattutto della Lega è la riforma pensionistica Quota 41. Essa che consente ai lavoratori di andare in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica. Il requisito risulta essere inferiore ai 42 anni e 10 mesi fissati per gli uomini e ai 41 anno e 10 mesi per le donne della legge Fornero.
Il problema di questo sistema è una perdita per il lavoratore del 23,5% della quota contributiva; ciò immaginando di lasciare il lavoro a 60 anni anziché ai 67 previsti dalle regole attuali. Oltre questo il sistema previdenziale italiano è considerato poco sostenibile. Il Mercer Cfa Institute Pension Index ci colloca al 32° posto su 44. La spesa per le pensioni ammonta al 16% del Pil che risulta essere la seconda più alta in Europa dopo la Grecia.
Il terzo limite strutturale alla riforma è invece il tasso di occupazione; ci sono troppe poche persone impiegate e che contribuiscono a sostenere le pensioni tramite le imposte rispetto a quelle necessarie per una riduzione dell’età pensionabile. Qualsivoglia riforma delle pensioni deve passare per questi numeri. Spendiamo già oggi circa il 16% del PIL in pensioni, la seconda più alta percentuale in Europa dopo la Grecia.
Parlare di flessibilità è comunque un’intenzione utile a dar voce a centinaia di migliaia di lavoratori che effettivamente vorrebbero andare in pensione subito, per l’impossibilità di continuare a svolgere lavori fisicamente gravosi. Tuttavia l’economia e il lavoro e quindi i livelli di reddito fermi da almeno 30 anni. Questi giocano un ruolo chiave perché sono la fonte prima dei contributi versati nel sistema pensionistico.
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