Il governo sta lavorando a una soluzione di compromesso frutto dell’impossibilità di sopperire ai costi delle pensioni.
Il tentativo è rimandare la possibilità che l’eventuale riforma voluta dal Governo incida troppo pesantemente sugli organici della pubblica amministrazione.
Nuova busta paga, arricchita per evitare che un’eventuale quota 102 o 103 possa agevolare più le uscite nella pubblica amministrazione, lasciando alcuni settori in carenza di organico e non realizzando l’obbiettivo di tutelare abbastanza i lavoratori.
Per limitare i costi degli squilibri nel mercato del lavoro si sta valutando un modo per incentivare alcuni lavoratori con un aumento in busta paga a restare al lavoro. Per questi rimarrebbe la possibilità di scegliere e andare in pensione in anticipo. Dopo anni di blocco del turn over, e con quota 100 che non ha fatto altro che accelerare ulteriormente i pensionamenti, ci sono aree con gravi carenze di personale.
L’esigenza di una riforma delle pensioni sarebbe percepita con minore intensità se il governo potesse migliorare le condizioni del mercato del lavoro. È proprio un mercato con un eccesso di domanda che dirotta le risorse pubbliche al sostegno dei disoccupati e degli indigenti. Una possibilità in questo senso sarebbe il taglio del cuneo fiscale per aumentare in modo indiretto le buste paga dei lavoratori. Nel tempo questo è in grado di aumentare consumi e investimenti.
Assegni più ricchi per i lavoratori vicini alla pensione
Qualcosa di simile accade in piccolo ai lavoratori vicini alla pensione. Assegni mensili più ricchi grazie allo sgravio dei contributi dallo stipendio può interessare i lavoratori dipendenti vicini al raggiungimento dei requisiti della pensione sicuramente almeno per il 2023. La fattibilità della proposta diverrà nota con la nuova legge di Bilancio nel quale deve essere inserita prima di poter avere valore di legge.
Tra le categorie interessate oltre all’amministrazione pubblica, anche i medici. L’organico di questo settore non è semplice da sostituire considerandone anche l’attuale rarefazione. Avvicinandosi ai 62 anni di età e 35 anni di contributi o in alternativa a una contribuzione di 42 anni a prescindere dall’età sarà possibile chiedere il pensionamento. Nel primo caso sarà anche possibile scegliere di andare in pensione come consentito dalla normativa, congelando l’importo dell’assegno ma beneficiando di un aumento di stipendio.
Quanto aumenta lo stipendio di chi è vicino al pensionamento?
Rinviare a un secondo momento la pensione può dare un vantaggio in termini economici nel breve termine sia alle casse dello Stato sia al futuro pensionato. Una volta raggiunto il diritto alla pensione, sarebbe comunque il lavoratore a decidere quando se farne uso. L’importo della maggiorazione dello stipendio dipenderà dalla misura dello sgravio contributivo. Non ci sarà quindi un maggiore esborso per il datore di lavoro, in quanto lo stipendio lordo resterà invariato.
In Italia si parla di riforma delle pensioni quasi ogni anno, diventando quasi patologia di un sistema dove i lavoratori sono sempre meno liberi di lasciare il posto di lavoro. Bisogna chiedersi se si confonde intenzionalmente l’aspettativa di vita con la capacità di performare correttamente e reggere il peso della propria mansione a età sempre più avanzate. Sono compresi coloro che svolgono lavori faticosi, i quali già sopra i 60 anni di età avvertono stanchezza fisica e mentale esponendosi inoltre a rischi sugli incidenti sul lavoro compromettendo sicurezza fisica propria e degli altri.
Diminuzione del cuneo fiscale per i dipendenti privati
Per questo motivo la riforma delle pensioni è un’urgenza, che sembra voler essere affrontata dal governo Meloni in modo complessivo e strutturale. A questo proposito si starebbe valutando anche per i dipendenti privati il dimezzamento della tassazione dei premi di produttività. Su questi oggi c’è un’imposta del 10% per le erogazioni fino a 3.000 euro l’anno per redditi fino a 80.000 euro. Per il momento tutto rimane sulla carta. Il caro bollette assorbirà la quasi totalità degli spazi di manovra.
Per raggiungere l’obbiettivo quindi il Governo deve confrontarsi necessariamente con i numeri della realtà economica italiana. Nella di aggiornamento al Def si legge che in vista delle spese necessarie nel 2023 si mobiliteranno circa 22 miliardi in deficit. La spinta del terzo trimestre 2022, risultato a sorpresa positivo, permetterà di chiudere l’anno con una crescita superiore alle attese del governo Draghi.
I numeri dell’economia italiana di cui il Governo sta tenendo conto
Il Pil salirà al 3,7% contro il 3,3% previsto nella Nadef a fine settembre. L’anno prossimo però la frenata è evidente; la crescita tendenziale si dimezza rispetto a settembre arrivando allo +0,3%. Il deficit aggiuntivo per contrastare i rischi recessione sembra cozzare con la linea “responsabile” rivendicata dal ministro dell’Economia. Rimane la possibilità che il tutto continui comunque a favorire la discesa del rapporto debito/Pil. Il deficit scenderà progressivamente nel tempo, con un obbiettivo di riduzione al 144,6% rispetto al 145,7 attuali.
L’indebitamento netto passerà quindi dal 5,6% di quest’anno al 4,5% del prossimo, al 3,7% del 2024 fino al 3% del 2025. Secondo queste stime per l’anno prossimo avremo ridotto il debito di circa 23 miliardi di euro.