Alcune categorie di lavoratori stanno ai ferri corti, per cui no, non possono dire di no a pensioni basse con 20 anni di contributi. Analisi dei casi e modalità di gestione.
Al giorno d’oggi dire pensione pare trattare un privilegio, questo perché molti hanno grosse difficoltà a raggiungerla, e quando la si ottiene, bisogna prenderla per come viene. È vero che però ci sono dei lavoratori a cui conviene accettare pensioni con 20 anni di contributi che abbiano cifre basse. Non si tratta di un mero accontentarsi, ma quanto di seguire ciò che è davvero l’ultima migliore spiaggia.
Arriva la conferma dall’alto, il Governo permetterà nel 2025 di accettare pensioni con anticipo e scontistiche varie, ma l’altra faccia della medaglia ha una piccola pecca. Come già accennato, si tratta di somme non molto alte, ma nonostante ciò non mancano vantaggi come gli aspetti pocanzi citati.
Sono due le misure che prevedono di andar in pensione con 20 anni di contributi, e ciò sussiste per chi ha 64 e 67 anni, ma questi requisiti anagrafici possono essere facilmente sorvolati anticipando di gran lunga i tempi. E non solo. Ci sono così tante sorprese che bisogna analizzarle passo passo.
Ma cos’è che determina minori vantaggi? Se il calcolo non conviene, arrivare a pensioni pari o nettamente superiori all’assegno sociale sarà più arduo del previsto.
A chi conviene e il calcolo? A determinare le sorti correnti è ovviamente il Ministero del Lavoro che dal vertice della sua posizione cerca di soddisfare il più possibile le esigenze dei cittadini. È previsto un biennio di grandi modifiche. Il periodo 2025-2026 renderà complicato raggiungere soglie soddisfacenti, ma la miglior notizia è la seguente: pensioni anticipate con qualche garanzia, nonostante le perdite.
Per chi ha 67 anni può usufruire della pensione di vecchiaia con 20 anni di contributi, ma con ciò c’è anche quella anticipata. Due misure che per chi ha iniziato a versare dopo il ’95 permettono delle uscite anticipate rispetto i 64 e 67 anni. L’aspetto più interessante è che finalmente i cittadini hanno più margine di scelta. Ci sono modifiche sia nel calcolo che nei tempi, ma senza mettere a rischio l’ottenimento del beneficio.
A determinare il maggiore cambiamento è la modifica dei coefficienti di trasformazione, i quali al salire della vita media della popolazione, diventano meno favorevoli perché trasformano il montante dei contributi in pensione. Vuol dire che ci saranno situazioni in cui a parità di montante contributivo e di età di uscita, chi esce nel 2025 e nel 2026 prende una pensione più bassa di chi lo ha fatto nel 2024.
Se il contribuente versa dopo il ’95 e vuole godere della situazione di inattività della vecchiaia, deve far si che il trattamento sia almeno pari all’assegno sociale per quanto concerne l’importo. Possono bastare anche 64 anni, e questo istituto si chiama pensione anticipata contributiva, e tratta contributi puri. Per accedervi pero si deve raggiungere un trattamento non minore a 3 volte dell’assegno sociale.
Se chi fa questa richiesta è una donna con figli, la suddetta pensione vale anche se l’importo è minore. Inoltre, possono chiedere all’INPS di liquidare la pensione con coefficienti che fanno al caso proprio. Poiché a 64 possono usare quello dei 65 anni, mentre se decidono di andare in pensione a 67 anni possono utilizzare quello dei 68.
Chi ha avuto 3 o più figli all’età di 67 anni può usare il coefficiente di 69, mentre a 64 quello di 66. Quindi, queste soluzioni in arrivo con tanto di anticipo garantiscono solo questa categoria di lavoratrici, gli altri no. Ma ciò che mette più a rischio le pensioni è che nonostante l’aumento dell’assegno sociale da 534 euro circa a 540, comunque è molto difficile da raggiungere, proprio a causa dei nuovi coefficienti.
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