Pensioni, nel 2025 sarà possibile essere più flessibili su quando andare. A spiegarlo è lo stesso Istituto Nazionale di Previdenza Sociale.
Andare in pensione, soprattutto giunti a una certa età, è un desiderio di tanti lavoratori. La stanchezza, fisica e mentale, inizia a farsi sentire, e c’è bisogno di dedicare più tempo a se stessi.
Dopo aver raggiunto la soglia di contributi richiesta, è il momento di andare finalmente in pensione e riorganizzare la propria esistenza, magari facendo nuove esperienze. O magari, godendosi il frutto di anni e anni di impiego. Cosa ne sarà del proprio futuro dopo la pensione è un piano che varia da persona a persona, e che vede coinvolti numerosi fattori.
In primis, a quanto ammonterà la pensione che si andrà a percepire, le proprie condizioni di salute e i progetti in cantiere. Magari, si potrebbe anche decidere di realizzare qualche sogno nel cassetto, che si è sempre messo da parte.
Per il 2025, in molti si domandano quali saranno i requisiti per andare in pensione. A tal proposito, ci sono diverse ipotesi in merito al meccanismo previdenziale.
Tra le proposte di riforma che si sarebbero avanzate, ci sarebbe anche quella di una pensione in cui la soglia minima di contributi da presentare per potervi accedere, non sarà più la stessa. In sostanza, una pensione con una flessibilità di uscita tra 64 e 72 anni.
Pensione a 67 anni o da 64 a 72 anni: l’ipotesi
Alberto Brambilla, presidente Centro Studi Itinerari Previdenziali, sulla rivista omonima, suggerisce al governo di cambiare il requisito contributivo minimo per andare in pensione.
In poche parole, suggerirebbe di aumentare a 25 anni la carriera minima per andare in pensione a 67 anni. Ma con questa proposta, un po’ rigida, c’è anche una proposta di flessibilità. Nello specifico, in base a questo suggerimento, dovrebbe anche mettere in campo un tipo di pensione flessibile, forse interessando la fascia di età che va da 64 a 72 anni. Ci sarebbero anche penalizzazioni per chi termina la carriera prima dei 67 anni.
Questa proposta suggerirebbe anche di rivedere i coefficienti di trasformazione invece dei 16 attualmente in vigore. Ciò porterebbe a delle penalizzazioni per coloro che deciderebbero di andare in pensione prima dei 67, e quindi lasciare l’impiego a 64 o 65 anni. Inoltre, questa ipotetica soluzione favorirebbe introiti superiori a chi dovesse optare per non andare in pensione a 67 anni, ma scegliesse di lasciare il lavoro a un’età che si aggira sui 72 anni.