Ci sono degli errori che potrebbero costarci caro, portandoci a perdere la pensione: ecco quali sbagli bisogna evitare.
Negli ultimi tempi il tema delle pensioni ha fatto molto parlare di sé. Il 2024 sta volgendo al termine e, tra gli argomenti più discussi, spicca l’aumento delle prestazioni l’anno prossimo – il quale, tuttavia, sarà molto esiguo. Ad attirare le preoccupazioni dei pensionati ci pensa anche l’eventualità di dover rinunciare all’assegno percepito mensilmente: ci sono 4 errori in particolare che potrebbero costare molto caro.
Il raggiungimento della pensione è un traguardo ambito dalla maggior parte dei lavoratori, che spesso potrebbe rivelarsi alquanto difficile da tagliare. Nel momento in cui si riescono a soddisfare i requisiti necessari per ritirarsi dal mondo del lavoro – che si tratti di quelli previsi dalla pensione di vecchiaia o dalle misure alternative -, si tende a pensare di essersi finalmente garantiti la possibilità di godersi il meritato riposo potendo contare sulla prestazione.
La verità, però, è che non bisogna mai dare nulla per scontato. E questo vale anche per il sistema delle pensioni: ci sono casi in cui un individuo potrebbe perdere l’assegno mensile ritrovandosi costretto a rinunciare alla prestazione. Per evitare di finire in una situazione simile, è fondamentale non commettere determinati errori.
Un cittadino potrebbe perdere la sua pensione a causa di comportamenti non conformi alle previsioni della normativa. I dipendenti pubblici in quiescenza, entrando nel dettaglio, possono rischiare di perdere l’assegno mensile per via dello svolgimento di determinate attività in seguito al pensionamento. Sebbene possano continuare a dedicarsi a degli incarichi, infatti, devono rispettare il divieto tassativo di svolgere attività di consulenza o studio, oltre che direttive e dirigenziali.
Tutti gli altri ruoli possono essere ricoperti senza il rischio di dover perdere l’assegno pensionistico. L’obbligo riguarda qualsiasi amministrazione dello Stato coinvolgendo le aziende e le amministrazioni a ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni e le Comunità montane, insieme alle loro associazioni e consorzi. A questi si aggiungono gli enti pubblici non economici locali, regionali e nazionali; come anche le amministrazioni e le aziende del Servizio sanitario nazionale.
Lo stesso vale per le scuole e gli istituti, indipendentemente dall’ordine e dal grado, e le istituzioni universitarie. Le case popolari, gli istituti autonomi, le Camere (di artigianato, agricoltura, commercio e industria), l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie riconosciute dal decreto legislativo 300/99 completano l’elenco.
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