Il diritto alla reversibilità potrebbe venire meno in alcune circostanze. E questo sia per i coniugi che per i figli. Vediamo in quali casi si manifestano le condizioni.
Un tema fondamentale quanto delicato quello della pensione. Le sue numerose sfaccettature richiedono una conoscenza approfondita non tanto in termini tecnici ma sul piano stesso dei diritti. E questo per una ragione molto semplice.
In quanto diritto acquisito, è necessario che coloro che ne beneficiano possiedano determinati requisiti. Senza di essi, infatti, è probabile che non solo il trattamento venga rivisto ma addirittura rimosso. E questo vale per qualsiasi tipologia di pensione, da quella “tradizionale” a quella di reversibilità. Proprio quest’ultima, infatti, nasconde le variabili più insidiose. Si tratta di una pensione erogata ai familiari superstiti di chi, in vita, percepiva un trattamento ordinario acquisito. In questo senso, è chiaro che chi la percepisce deve figurare in un determinato contesto socio-lavorativo per poterne beneficiare. Anche se, a un’analisi superficiale, potrebbe sembrare che la reversibilità sia un diritto acquisito a vita, in diversi casi si manifestano condizioni che fanno appurare il contrario. Le cause di cessazione non sono comunque comprese in quelle che possono portare alla riduzione del trattamento. Si tratta di casistiche differenti e riferibili solo a determinati contesti.
Ad esempio, una riduzione pensionistica si attesta al 25% nel momento in cui i redditi vanno oltre di tre volte al trattamento minimo. E ancora, del 40% in caso siano superiori di quattro volte, del 50% per oltre cinque. Va comunque ricordato che il trattamento derivante dal cumulo dei redditi con reversibilità ridotta, non deve comunque scendere al di sotto di quello spettante per i redditi pari al limite massimo della fascia che precede quella di appartenenza. In alcuni casi, come la presenza di figli minori, disabili o studenti, la riduzione nemmeno si applica. Ben diverso il discorso sulle condizioni di revoca, già di per sé ritenute più serie.
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Reversibilità, le condizioni di cessazione per coniuge e figli
In termini tecnici, la pensione di reversibilità costituisce una percentuale della pensione spettante al deceduto, oppure della pensione alla quale avrebbe avuto diritto. Si tratta di percentuali variabili, fra il 60% riconosciuto al coniuge solo al 100% per i coniugi con due o più figli, oppure in caso di presenza di tre figli o più di sette fratelli. E’ quindi il coniuge a beneficiare per la maggior parte dei casi della reversibilità. Le cause di cessazione, in questi casi, emergono nel caso in cui questi contragga un nuovo matrimonio. Resterebbe comunque un assegno in forma una tantum, costituito da due annualità della quota di pensione spettante, inclusa la tredicesima. Qualora siano presenti dei figli e la pensione risulti già erogata, questa dovrà essere riliquidata a favore della prole, tramite applicazione di aliquote relative al nucleo familiare variato. Anche i figli, tuttavia, possono incorrere in una cessazione.
Una prima causa può riguardare i figli minori fino al compimento dei 18 anni, a meno che non si tratti di studenti o disabili, ma anche per quegli studenti che svolgano un’attività lavorativa o che abbiano interrotto gli studi. In ogni modo, si incorrerebbe in cessazione al compimento dei 21 anni. Per studenti, si intendono sia quelli di scuole superiori che universitari. Stop anche per i figli inabili, qualora lo stato di inabilità dovesse cessare.
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I figli studenti lavoratori o il superamento del ventunesimo o ventiseiesimo anno di età, comporterebbe una sospensione del diritto piuttosto che una cessazione. Sul piano reddituale, per gli studenti-lavoratori si considera un limite non superiore a un importo pari al trattamento minimo annuo di pensione, sulla base di quanto previsto dal Fondo Pensioni, con maggiorazione del 30%. Si tratta di una cifra che, a livello di compenso, non deve superare i 670,25 euro al mese. In caso contrario, la reversibilità continuerebbe a essere erogata.