La pensione Opzione Donna è una misura previdenziale riservata alle donne lavoratrici (dipendenti e autonome) con il pensionamento a 58 anni, ma quanto si perde?
La pensione Opzione Donna permette di accedere al pensionamento nel 2021 con 58 anni di età se lavoratrici dipendenti e con 59 anni di età se autonome. Il requisito contributivo richiesto è di 35 anni e i requisiti (anagrafico e contributivo) devono essere maturati al 31 dicembre 2020. Questa misura è oggetto di molte polemiche in quanto è rinnovata annualmente, ma il Governo sembra orientato nel 2022 a renderla strutturale.
La pensione Opzione Donna è attualmente allo studio per la proroga e sembrerebbe che sarà inserita nella nuova riforma pensioni. Riforma pensioni: ultime novità su Quota 102, Quota 41 e nuove proroghe
Questa misura è per alcune lavoratrici molto penalizzante. Oggi, esaminiamo il caso di una Lettrice ci chiede quanto perde sull’assegno se opta per la pensione donna. La nostra Lettrice ha maturato 35 anni di contributi nel 2020 di cui 5 anni prima del 1996, quindi, nel sistema retributivo. Inoltre, ha matura 58 anni ad ottobre del 2020.
Le lavoratrici che optano per la pensione Opzione Donna rinunciano ai contributi versati nel sistema retributivo per l’applicazione del sistema contributivo sull’intero montante contributivo. Per conoscere esattamente l’importo, sono disponibili molti calcolatori online, ma anche l’INPS permette di calcolare la pensione secondo le varie possibilità previdenziali e simulare l’importo dell’assegno. I calcolatori generalmente chiedo di inserire alcuni dati, tipo: data di assunzione e stipendio annuo lordo. Oppure, è possibile rivolgersi ad un patronato che potrà effettuare una simulazione e consigliare quale strada pensionistica intraprendere.
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In linea di massimo l’Opzione Donna è penalizzante per le lavoratrici che hanno una vita lavorativa discontinua e con periodi di contributi figurativi per disoccupazione. Infatti, questa misura prevede che l’assegno sia calcolato su contributi utili, questo significa che sono validi tutti i contributi a qualsiasi titolo versati, ma sono esclusi quelli per indennità di disoccupazione NASPI e malattia.
In effetti, la lavoratrice potrebbe avere un assegno con una decurtazione di circa il 30% rispetto all’ultimo stipendio percepito.
Nel caso specifico, solo cinque anni versati all’inizio della vita lavorativa, non determinano una grossa differenza sull’assegno calcolato con il sistema contributivo puro anziché con il sistema misto.
Tuttavia, consigliamo di effettuare una simulazione presso l’INPS o patronato, per sapere approssimamene quale sarà l’assegno pensionistico spettante.
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