Può una percentuale decidere il tuo futuro? Quando si perde un familiare, sapere se si ha diritto alla pensione di reversibilità è già complicato. Ma se in mezzo ci sono anche invalidità, incapacità e burocrazia, tutto diventa ancora più confuso.
Selene, Rossana e Piero lo hanno vissuto sulla loro pelle. Hanno scoperto che non basta essere malati o in difficoltà: a volte la legge parla un’altra lingua.
Ma allora, cosa conta davvero per avere la pensione ai superstiti?
Selene aveva una invalidità civile del 60%. Viveva con sua madre, che purtroppo è venuta a mancare. Pensava di poter ricevere la pensione di reversibilità, perché la sua salute non le permetteva di lavorare come tutti gli altri.
Ma quando ha chiesto informazioni, ha scoperto che quella percentuale di invalidità non bastava. Rossana, invece, si prende cura del fratello Piero, disabile al 100%, che non ha mai lavorato. Dopo la morte del padre, si è chiesta se Piero aveva diritto alla pensione. La risposta è stata sì, ma solo perché ha potuto dimostrare alcune condizioni precise.
Perché allora Selene no e Piero sì? La risposta è più semplice di quanto sembri, anche se la burocrazia non lo è affatto.
Per avere diritto alla pensione di reversibilità, non è sufficiente avere un certo grado di invalidità civile. Quella percentuale, che può andare dal 33% al 100%, serve per altri tipi di prestazioni, come l’assegno mensile o l’indennità di accompagnamento. Ma per ottenere la reversibilità, serve un altro tipo di riconoscimento: bisogna essere totalmente inabili al lavoro.
Cosa significa? Che al momento della morte del genitore o familiare pensionato, la persona che chiede la pensione deve trovarsi in una condizione permanente e assoluta di impossibilità a lavorare. Non basta, per esempio, avere una malattia o una disabilità: servire una certificazione che dichiari chiaramente che non si può svolgere nessun tipo di attività lavorativa .
In pratica, se si è in grado anche solo di fare un lavoro part-time o con poche mansioni, non si rientra tra gli aventi diritto alla reversibilità. Ma c’è un’eccezione: se si lavora in contesti protetti, come cooperative sociali per disabili, per meno di 25 ore settimanali, si può comunque mantenere il diritto all’assegno.
Oltre alla incapacità totale, serve anche dimostrare che si era a carico del familiare defunto. Cosa vuol dire essere a carico? Due cose: non avere abbastanza soldi per mantenersi da soli e ricevere un aiuto economico continuativo dal familiare deceduto.
Se si viveva insieme, l’INPS di solito dà per scontato che si fosse a carico. Ma se non si conviveva, bisogna dimostrare che il familiare aiutava davvero in modo stabile: ad esempio, con versamenti mensili, pagamento delle spese o altre forme di sostegno.
Nel caso di Piero, Rossana ha potuto dimostrare tutto questo: la inabilità al lavoro, la convivenza e il mantenimento economico. Per questa domanda è stata accettata. Selene, invece, pur avendo una percentuale di invalidità, non è risultata inabile al lavoro secondo la legge, e quindi ha visto respinta la sua richiesta.
Comunque si consiglia sempre di rivolgersi a un consulente o a un CAF per avere maggiori delucidazioni.
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