L’esigenza di continuare a lavorare nonostante la pensione anticipata, la dice lunga sull’efficacia del trattamento pensionistico? Analisi degli esperti e come comportarsi.
La situazione economica non è delle più floride, per cui potrebbe capitare che dire addio al mondo del lavoro e accedere a quello pensionistico, non sia poi così vantaggioso. Ma cosa fare per non disobbedire alla legge? Come se non bastasse, garantire un degno trattamento pensionistico è la base, per cui risulta necessario fare il punto della situazione e accogliere i migliori consigli. Con la pensione anticipata si può o no continuare a lavorare?
A rispondere sono gli esperti che fanno le dovute analisi non solo delle leggi in vigore nel contesto italiano, ma anche di tutti quei provvedimenti e decisioni che hanno contraddistinto la materia. È un argomento così “scottante” da risultare bollente persino soltanto parlarne. Non sono pochi i pensionati che vorrebbero tornare a lavorare.
Ovviamente, non tutti lo fanno perché ritengono di aver troppe difficoltà per arrivare a fine mese. C’è chi lo fa perché non vuol starsene con le mani in mano. Se per alcuni la vecchiaia rasenta un momento di pace e serenità, per altri può rappresentare un momento di improduttività che non riescono a colmare con nessun hobby.
Ma di quali lavoratori si parla? Il regime di pensione anticipata prevede 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, mentre per le donne 41 anni e 10 mesi. Da qui, parte l’analisi degli esperti.
Arriva la risposta: si può continuare a lavorare con la pensione anticipata?
La cumulabilità è il concetto che ruota attorno alla risposta. Si tratta delle possibilità di unire la pensione a un possibile nuovo guadagno, ma sul fronte fiscale appesantisce il cittadino? Conviene? La stessa condizione Statale potrebbe garantire entrambe le entrate? Anche questi non sono dubbi di poco conto. Ma se c’è qualcosa su cui si può insistere è proprio il fatto di tornare ad essere attivi: la società dei consumi/produzione non riesce ad essere abbandonata dal singolo nemmeno in vecchiaia?
La risposta è la seguente, si può tornare a lavorare senza subire conseguenze sulla pensione che si percepisce secondo la normativa vigente. Quindi, sì alla pensione e al nuovo reddito da lavoro, sia come autonomo che come dipendente. Ma è qui che torna in gioco il concetto di cumulabilità: riguarda i limiti che dipendono dal tipo e dal peso di pensione percepita. Chi usufruisce di Quota 100, 102 e 103 può fare ciò, ma entro la soglia di 5 mila euro lordi annui.
Inoltre, persiste l’obbligo di avvisare l’INPS di ogni importo dei redditi, e se si supera la soglia, la pensione viene sospesa, ma questo non significa che sia revocata. Il limite del cumulo viene meno quando si raggiungono gli elementi per conseguire la pensione di vecchiaia, cioè 67 anni d 20 di contributi versati.
Le lavoratrici che hanno usufruito dell’Opzione donna possono cumulare del tutto l’assegno con qualsiasi attività conseguente all’erogazione della pensione. Non può dirsi lo stesso per chi percepisce l’Ape Sociale, perché ci sono state diverse modifiche già dal 2023. Infatti, nell’anno in questione si poteva cumulare fino a 8 mila euro annui per lavoratore dipendente, mentre per l’autonomo un massimo di 4800 euro. Superati i limiti la prestazione sarebbe decaduta, ma ne sarebbe subentrato il recupero dell’indennità percepita durante l’anno in cui è stato superato il tetto massimo.
Dal 2024 le cose sono variate per effetto della Legge di Bilancio che ha determinato l’incumulabilità. Vuol dire che chi accede alla pensione con l’Ape Sociale non si può lavorare in nessuno modo. Né come dipendente, né tantomeno come autonomo. L’unica eccezione? Se c’è un lavoro autonomo occasionale, in quel caso si può fare, ma sempre entro i 5 mila euro l’anno.