Novità previdenziali in ballo, la pensione a 64 anni è una realtà valida, ma per non tutti. C’è a chi conviene, e a chi no, mediante l’analisi caso per caso, si fa chiarezza.
Ci sono tante cose importanti nella vita, e il sistema previdenziale è una di queste. Esso ha il compito di prendersi cura dei soggetti che vi rientrano, e questo è il minimo in uno Stato moderno. Il Welfare è un punto di arrivo e di svolta in qualsiasi contesto politico. Parlarne, averne chiari gli elementi essenziali, e poi non garantire la pensione ai contribuenti, è davvero una condizione che oltraggia ben più l’ipocrisia. Per cui a 64 anni si potrebbe andare in pensione nel migliore dei modi, soprattutto senza fatiche. Ma chi avvantaggia?
È bene fare un’analisi della situazione fin da principio, puntualizzando che è chiaro che la via della pensione a 64 anni sia un sogno di molti. Entrano in gioco molteplici aspetti, alcuni spesso sottovalutati. Il progetto è attualmente al vaglio in sede di Governo, ed è il sottosegretario al lavoro, Claudio Durigon a farsi portavoce. Ci sono dei buoni propositi che potrebbero fare la differenza.
La proposta si inserisce in un contesto maggiore, quello di consolidare la tanto attesa riforma in ambito pensionistico, e dire per sempre addio alla Legge Fornero. Si tratta di contenere le tragiche conseguenze apportate nel lungo periodo da questa impostazione previdenziale che tutto fa, meno che far andare in pensione. Basta miraggi, c’è un’occasione da non perdere.
Andare in pensione è come un miraggio, figuriamoci avere anche solo il pensiero di consolidare questa meta a soli 64 anni. È una follia o una realtà realizzabile? Secondo la proposta del sopracitato Durigon non ci sono dubbi, si può non solo conquistare l’obiettivo, ma anche contenere le drammaticità della Legge Fornero. La soluzione si ispira ad una misura di recente utilizzo, e se si riescono ad adeguare le pensioni al tasso dell’inflazione, allora la flessibilità è garantita.
Il vero punto cardine della questione è quello di riuscire a consolidare con maggior flessibilità l’accesso alla pensione, poiché gli elementi di base del momento, pregiudicano gravemente questa possibilità. La rigidità del sistema previdenziale italiano è frutto di leggi mal disposte, dinamiche inaspettate, ed un’alta attenzione alla burocrazia che non si riesce ad estirpare in nessun modo.
Tutto in Italia è lento, anche dire addio alla carriera lavorativa per entrare in un fase della vita “più leggera”. La lentezza dell’età matura sì, ma non a tal punto da non riuscire a pensionarsi! La proposta di Durigon concerne la possibilità di andare in pensione a 64 anni con 20 anni di contributi, i quali potrebbero essere colmati, nei periodi di buchi contributivi, con quella parte del TFR che “rattoppa” queste falle.
Insomma, significa mettere sì la “toppa ad una falla”. L’ambizione sembra valevole del risultato, perché si potrebbe consolidare il requisito di una pensione uguale a tre volte il minimo. Se ne avvantaggiano tutti, perché questa soluzione aiuterebbe indirettamente i giovani che rischierebbero in futuro di avere pensioni ancora più basse a causa del sistema contributivo.
Alternativa possibile alla Legge Fornero che predispone come requisiti 67 anni d’età per la pensione e 20 di contributi. Si ridurrebbero anche i pesi che gravano sullo Stato in relazione agli interventi integrativi per le pensioni minime. Come già accennato, l’idea si ispira alla RITA, la Rendite Integrativa Temporanea Anticipata, la quale consente di anticipare la pensione sfruttando quanto è stato accumulato nei fondi pensionistici detti “complementari”, appunto il capitale presente.
Non manca anche l’iniziativa di estendere la flessibilità per un altro anno con sistemi come quello dell’Opzione donna e l’Ape Sociale. Nel frattempo, adeguandosi al tasso di inflazione da sempre legato all’andamento previdenziale. L’aumento delle pensioni minime, in relazione a ciò, dovrebbe essere di 630 euro. Chi rimane escluso dai vantaggi predisposti?
Non si può rispondere alle esigenze di tutti, e in questo caso sono i lavoratori considerati “precoci”, a rimetterci. La nuova modalità tacita di adesione ai fondi per questa categoria è stata esclusa dalla proposta. La loro condizione prevedeva il 25% del TFR alla previdenza complementare, e la Ragioneria generale dello Stato blocca ciò, avanzando come causa la necessità di tutelare la stabilità economica della stessa INPS, la quale con queste premesse e condizione, non riuscirebbe a sostenere gli sforzi economici.
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