Con i prezzi del pellet alle stelle i consumatori si chiedono se il risparmio è ancora garantito. Urge un cambiamento nella filiera per aumentare la produzione nazionale.
L’interesse degli italiani verso le stufe a pellet non diminuisce nonostante l’aumento dei costi del combustibile. E’ una valida alternativa al gas e una soluzione efficace contro il caro bollette.
Il costo del riscaldamento nelle abitazioni è diventato oneroso in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Le conseguenze dell’attacco sono ormai tristemente note a tutti i cittadini dopo due mesi e mezzo di conflitto. Parliamo di effetti sociali, morali, geopolitici ed economici che gravano sui Paesi coinvolti e sulle altre nazioni, tra cui l’Italia, implicate indirettamente nella guerra. L’ipotesi dello stop del gas russo, i rincari in bolletta, i prezzi elevati del carburante sono solo i primi esempi di una lunga lista di problematiche che gravano sulle spalle di famiglie e imprese. Ognuno deve attivarsi in prima persona per cercare di risparmiare e tanti cittadini hanno deciso di abbandonare il tradizionale impianto a gas di riscaldamento per passare alle stufe a pellet. Una scelta volta alla riduzione dei consumi ma rimane un aspetto subdolo della vicenda, il prezzo del combustibile è alle stelle.
Le stufe a pellet rappresentano il 72% degli apparecchi venduti negli ultimi anni a dimostrazione dell’interesse crescente degli italiani verso questo combustibile alternativo i cui consumi annuali nel nostro Paese sono stimati intorno ai 3,2 milioni di tonnellate. Accanto al fotovoltaico e al mini-eolico, dunque, l’Italia spinge verso il pellet per ridurre i consumi del riscaldamento – basta pensare al Bonus attivato dal Governo – ma in un solo anno i prezzi dei cilindretti di legno sono aumentati di circa 108 euro a tonnellata passando da 233 a 341 euro.
I consumatori acquistano generalmente sacchi da 15 chili al costo medio di 5,77 euro. Si registra, così, un rincaro di 1,20 euro rispetto al 2021 con picchi di 9 euro a sacco nelle regioni del Nord Est e di 10 euro nelle isole. Cifre elevate considerando il consumo annuo a consumatore che comportano un’altra conseguenza significativa. I guadagni per i distributori sono più modesti dato che sono costretti a ridurre la marginalità; da qui l’acquisto di un numero inferiore di stock che non copre l’intera domanda nazionale.
Oltre al gas anche il pellet è sempre stato acquistato dalla Russia. Non parliamo dell’Italia ma delle grandi centrali del Nord Europa che ora sono costrette a rivolgersi al mercato europeo solitamente destinato al piccolo consumatore. Questa questione è stata sollevata da Annalisa Paniz, Direttore generale dell’Associazione Italiana Energie Agroforestali per sottolineane il “fenomeno distorsivo del mercato” che si è generato in seguito alla guerra in Ucraina e all’embargo alla Russia.
Il problema è che il pellet viene prodotto localmente ma il suo consumo è richiesto a livello globale. Non solo, la domanda è aumentata notevolmente negli ultimi mesi ma l’esportazione è limitata ai Paesi in cui è maggiore la convenienza. In Italia l’industria di prima lavorazione del legno ha subito un rallentamento significativo negli ultimi anni con la conseguente diminuzione di scarti e, dunque, del pellet. Il risultato è un quantitativo insufficiente per soddisfare il bisogno nazionale. Da qui la necessità di rinnovare e dare nuovo lustro alla filiera del legno per recuperare un’indipendenza dell’Italia avvalendosi del patrimonio boschivo nazionale che è notoriamente sottoutilizzato.
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