I Paesi Opec+ fanno i propri interessi a dispetto della alleanza atlantica e contendono agli Stati Uniti le decisioni sul futuro.
La decisione di riduzione della produzione è conforme alla necessità di finanziarsi considerato il minore trend economico e l’aspettativa per la produzione globale.
Secondo l’amministrazione USA la mossa potrebbe causare un aumento dei prezzi della benzina negli Stati Uniti a cinque settimane dalle elezioni di medio termine. È così nel tentativo di evitare un danno di immagine e una convergenza del prezzo del greggio sul piano economico aumentano le tensioni sui prezzi dell’energia.
La Cnn ha riportato che l’amministrazione statunitense avrebbe lanciato nei giorni scorsi una campagna di pressione nel tentativo disperato di dissuadere gli alleati mediorientali dal tagliare drasticamente la produzione. A pesare sulla scelta naturalmente anche la Russia che ha bisogno di sostenere i costi della guerra in Ucraina.
Secondo molti osservatori la decisione può minare anche la controffensiva del G7. Questa punta a mettere un tetto al prezzo del petrolio russo sul mercato globale. L’entità del taglio è il maggiore dall’aprile 2020 e va nella direzione temuta.
Dopo aver superato i 100 dollari al barile nei primi sei mesi del 2022, negli ultimi quattro mesi i prezzi sono scesi del 32%. Le quotazioni sono scese per la prima volta sotto gli 83 dollari al barile da gennaio. I vertici del cartello ci tengono a chiarire che la risposta dell’Opec+ è una decisione tecnica che si somma alle prospettive di un’economia globale in declino e non deve essere vista alla luce di eventuali schieramenti pro o contro gli Stati Uniti.
Il 5 dicembre scatta l’embargo petrolifero nei confronti della Russia da parte dell’Unione Europea. È in questo contesto che il taglio della produzione limiterà la perdita economica russa mantenendo un target dei 90 dollari al barile. L’organizzazione dei produttori di petrolio guidata da Arabia Saudita e Russia ha preso la decisione con un approccio che limiterà il più possibile i danni per la maggior parte dei Paesi coinvolti.
In questo contesto e con la stessa logica il governo norvegese ha annunciato una stretta fiscale sui produttori di petrolio. Da questo si aspetta di trarre ricavi per circa 1 miliardo di euro. Per recuperare le perdite il governo norvegese ha annunciato giovedì di voler aumentare le tasse sull’industria petrolifera e del gas per una cifra pari a 190 milioni di euro.
La decisione arriva dopo l’aumento dei prezzi del petrolio e del gas che saranno utili a breve termine per compensare i maggiori costi dovuti all’inflazione che nel Paese ha superato il 17%. La Norvegia ha oggi un nuovo peso geopolitico per l’Ue; è diventata negli ultimi mesi il primo fornitore di gas e uno dei principali produttori mondiali di greggio; ha infatti una capacità di circa 4 milioni di barili di petrolio al giorno.
Tra i carburanti sono a rischio non solo gpl e benzina ma soprattutto il metano aumentato vertiginosamente. Il 30% dei distributori di metano per autotrazione ha già chiuso o rischia di farlo a breve. È un effetto indiretto dei rincari del gas che rischia di eliminare un intera categoria di distributori; questi in Italia rappresentano oltre 1.500 piccole realtà imprenditoriali con circa un milione di veicoli serviti.
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