Dallo scoppio della guerra in Ucraina che ha portato un’enorme incertezza geopolitica ed economica i titoli di Stato hanno visto crollare il loro prezzo. Nessun titolo sembra battere l’inflazione.
Paradossalmente l’effetto congiunto di responsabilità dei governi verso gli effetti combinati delle risposte all’attacco Russo, ha messo a repentaglio la percezione di sicurezza dei Titoli di Stato.
In un momento come questo, nella ricerca di beni rifugio il consiglio di vendere azioni e comprare obbligazioni, come i titoli di Stato americani e tedeschi sarebbe deleteria. Sui mercati è andato infatti in scena l’esatto opposto di quello che un teorico manuale di trading avrebbe potuto consigliare.
Le Borse, hanno tenuto relativamente bene: dall’inizio dell’invasione in Ucraina, l’indice di Wall Street è positivo del 2% circa e quello delle Borse europee Stoxx 600 è pressoché invariato. Ci sono alcuni listini in netto calo, come Milano che perde il 6,46% da inizio guerra, ma nella maggior parte dei casi i crolli sono contenuti.
Il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell. Egli ha ammesso che sia necessario contrastare “assolutamente” l’inflazione americana, prospettando un rialzo dei tassi dello 0,5% a inizio maggio. Per contro il mercato dei titoli di Stato Usa o Italiani ha registrato un record negativo di prezzi remunerando gli investitori con interessi lordi intorno al 2,5%. Anche il Bund tedesco è cresciuto arrivando a un rendimento positivo dello 0,4% circa.
Fino a non molto tempo fa c’erano 18mila miliardi di obbligazioni con rendimenti nominali sotto zero. Oggi questi sono invece un fardello che appesantisce la pressione sul debito pubblico. La vera domanda adesso è quanto sia sostenibile la tenuta dei listini. La risposta difronte ai preparativi della BCE in risposta agli esiti attuali della guerra in Ucraina pare non essere così lusinghiera.
Il BTp a 10 anni ha rendimenti nominali elevati ma reali ancora negativi. Ad esempio il Btp a 10 anni con scadenza 1 giugno 2032 e cedola 0,95% offriva venerdì un rendimento netto del 2,48%. Scontata l’inflazione di marzo al 6,5%, in termini reali il rendimento è del -4%.
Se si considera tuttavia un’inflazione media annua per i prossimi 5 anni e mezzo di quasi il 2,2% scopriamo che il BTp a 10 anni è teoricamente in grado di coprire almeno la perdita attesa del potere d’acquisto. L’economia rallenta e per alcune aree del mondo come Europa e Stati Uniti si teme un significativo calo della crescita anche nei prossimi anni.
A preoccupare più di tutto è l’effetto congiunto di inflazione e diminuzione dell’offerta di materie prime importanti, sia energetiche che alimentari. Il costo della vita arrivato all’8,5% negli Stati Uniti e al 7,5% in Eurozona, crea la necessita di interventi diretti ad aumentare il costo del denaro. L’obbiettivo è rallentare un’inflazione che non è dovuta di certo a una crescita strepitosa dei consumi. È naturale quindi che gli investitori si aspettano un rischio elevato di insolvenza dei debiti obbligazionari. Questo considerando la possibilità di rimettere in discussione quanto dovuto agli investitori in situazioni di emergenza straordinarie.
In settimana uscirà il nuovo dato dell’inflazione, che dovrebbe essere in aumento. Qualunque sarà l’esito con cui ci dovremo confrontarci ormai è chiaro che a guadagnarci potranno essere sul breve termine soltanto le metriche del debito pubblico.
Secondo il DEF1, lo Stato italiano nel 2022 incasserà 39,7 miliardi di imposte e contributi in più rispetto l’anno scorso. Questa previsione non tiene conto naturalmente dell’erosione della ricchezza dei soggetti e delle famiglie che continuano a spendere di più a parità di beni e servizi. l’inflazione, insomma, sta agendo alla stregua di imposta orizzontale e occulta che per il Codacons rappresenta una tragedia che rischia di avere effetti pesanti sui consumi degli italiani. Lo afferma l’associazione dei consumatori che ha stimato una maggiore spesa fino a 2.674 euro annui a famiglia a causa dell’erosione del potere d’acquisto.
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