Con la Naspi che cambia bisogna sempre stare sull’attenti, specie nelle modifiche dell’ultimo momento. Si tratta di aspetti validi sia in positivo che in negativo, ma occorre fare il punto della situazione.
La misura di sostegno per la disoccupazione è destinata a esser modificata in maniera importante, specie dopo gli ultimi aggiornamenti. Che la Naspi sia essenziale per alcuni nuclei familiari fragili, non ci sono dubbi, ma la news in questione cambia le carte in tavola in una maniera del tutto inedita. Il provvedimento vale a prescindere per tutti? La situazione è inaspettata, e con le sue “positività” presenta degli elementi alquanto critici che vanno gestiti a modo.
La ratio della decisione è ben motivata, serve per gestire nella maniera più trasparente ed efficace possibile i rapporti di lavoro, in questo caso di fine con le dimissioni. L’intento è quello di smascherare i furbetti e di contrastare chiunque cerchi di farsi beffe del sistema ottenendo indebitamente del denaro. C’è chi approfitta di questa macchina assistenziale attuando un comportamento spregevole, e che merita di essere contrastato in maniera opportuna.
Quindi, il metodo di gestione si appresta ad essere più rigido, ma come? Soprattutto ci saranno degli impatti sulle imprese? L’analisi concreta aiuta a gestire in maniera approfondita la questione, con l’intento di non perdere dei propri vantaggi. Se l’intento è dare le giuste conseguenze ai trasgressori, bisogna capire come chi è in buona fede, può risolvere la problematica.
Perché la NASPI cambia? Le ultime novità stravolgono la sua gestione
La NASPI 2025 ha nuove regole per fronteggiare gli abusi del sistema perpetrati da lavoratori che vogliono farsi beffe delle misure previdenziali, percependole quando in realtà “non proprio” dovrebbero. La normativa è quindi ben definita e molto più rigida. Traccia gli elementi di base che non devono essere trasgrediti, ma rispettati in maniera più che precisa. Sarà più facile sbagliare?
Nel 2025 le nuove disposizioni servono per meglio regolamentare ed evitare tutti quei casi di dimissioni volontarie, ed esercitare in maniera legale il diritto alla disoccupazione. Per accedere alla suddetta indennità dopo le dimissioni volontarie, sarà necessario che il lavoratore trovi un nuovo impiego di almeno 13 settimane secondo quanto predisposto nella Legge di Bilancio dell’anno nuovo.
Così, verrà meno la pratica ormai consolidata da molti, di dimettersi volontariamente da un impiego, per poi accettare contratti brevi anche per un settimana. Chi fa così aggira il sistema e ottenendo più del previsto.
Perché il lavoratore trasgressore avrebbe furbamente risparmiato anche sul ticket di licenziamento. Questo può arrivare fino a 1916 euro per i rapporti di lavoro superiori a 3 anni, secondo i dati aggiornati nel 2024. Allora, la Legge di Bilancio del 2025 modifica i requisiti, e richiede quel periodo di lavoro di contribuzione versata non nel quadriennio precedente, ma dal momento in cui ci sono le dimissioni volontarie.
Inoltre, se un lavoratore si assenta per più di 15 giorni senza una giustificazione valida, dal sedicesimo giorno, il rapporto di lavoro si considera concluso per volontà del dipendente. Lo stesso datore di lavoro può recedere il contratto indicando le dimissioni volontarie dopo essersi confrontato con l’INL. Il lavoratore che vorrebbe approfittare in questo modo della NASPI, non potrà più ottenerla, e il datore di lavoro non potrà risparmiare sul ticket di licenziamento.
Tra le criticità, c’è senza dubbio un rischio che aumenti il lavoro in nero, pur di conseguire la NASPI. Come se non bastasse, la stessa rigidità del sistema potrebbe rendere l’intera gestione troppo rigorosa, al punto da penalizzare chi davvero si trova in difficoltà. Controllare in maniera precisa potrebbe portare a sostenere costi aggiuntivi da parte degli Enti previdenziali. Senza dimenticare che le donne che vivono la discriminazione lavorativa per la cura familiare, potrebbero avere ancora più difficoltà ad accumulare contributi.
Non ci sono solo negatività, perché a detto di molti la nuova gestione porrebbe la NASPI in maniera più equa, sostenendo davvero condizioni di fragilità dettate dalla disoccupazione. Potrebbe anche essere considerato un incentivo alla stabilizzazione lavorativa, incoraggiando i lavoratori a definire quelle che sono relazioni di lavoro più durature.
La stessa spesa pubblica ne diverrebbe più contenuta. Lo Stato non si ritroverebbe senza in ammanco e destinerebbe le risorse risparmiate in politiche attive per il lavoro. Anche l’accumulare contributi potrebbe permettere ai lavoratori di investire al meglio nella propria formazione. Infine, le imprese potrebbero mantenere un atteggiamento differente rispetto le assunzioni, dimostrandosi più restii davanti a quella tempo determinato.