Il dato sui prezzi al consumo negli Stati Uniti comincia a mostrare qualche segnale sul rialzo dell’inflazione, senza tuttavia suscitare le preoccupazioni della Federal Reserve, che continua a sostenere come passeggeri gli aumenti di prezzo.
Tuttavia nuove preoccupazioni impegnano i governi e destano l’attenzione degli investitori. Con i mercati azionari USA vicini ai loro massimi storici e la BCE che conferma la sua politica monetaria espansiva, rivedendo a rialzo la stima sulla crescita dei paesi dell’Eurozona, tutte le attenzioni sembrano orientate alla possibilità che l’imminente vertice del G20 non riesca a convincere la Cina nell’adeguare la sua tassazione alla proposta per un’imposta minima globale, che dovrebbe attestarsi tra il 15 e il 21%.
Le nazioni economicamente sviluppate che dovrebbero concertare una imposizione fiscale del 15%, così come proposto all’ultimo incontro del G7 svoltosi la settimana scorsa, temono che la Cina, prima tra tutte le nazioni industrializzate a riprendere la sua crescita economica, possa eludere le richieste degli altri paesi, creando una falla in un progetto che necessita della collaborazione di tutte le grandi economie, per poter essere applicato con efficacia.
Il pericolo non è solo di perdere una parte consistente dei prelievi fiscali, con le multinazionali pronte a sfruttare il territorio cinese per agevolare le loro aziende, ma anche quello di perdere credibilità presso l’opinione pubblica. Sarebbe infatti difficile adesso tornare indietro, o ritirare la proposta dando la responsabilità a un altro paese, dopo avere sbandierato l’iniziativa connotata dalla lotta per l’equità sociale.
Alcune cariche istituzionali cinesi non vedono di buon grado l’applicabilità del principio nel loro modello economico. Sebbene la Cina abbia a oggi un’aliquota fiscale ben più alta, pari al 25%, alcune imprese di importanza strategica per il paese possono essere agevolate garantendo loro tassazioni inferiori al 15%. La Cina garantisce alcuni privilegi al fine poter sfruttare le competenze di alcuni settori come quello tecnologico, in modo tale da maturare l’esperienza necessaria per poter portare avanti in proprio lo stesso modello di business. Il miracolo economico cinese iniziato nel 1997 con la privatizzazione delle grandi imprese di stato, è proseguito con la modernizzazione dell’economia del paese, chiudendo le imprese inefficienti e privatizzando i comparti non strategici. Questo fino al 2005, quando per la prima volta il settore privato riuscì a superare in termini di PIL il contributo economico di quello pubblico.
La trasformazione del sistema economico socialista, ha in seguito aperto la strada alla privatizzazione dell’edilizia e di conseguenza alla proliferazione delle grandi metropoli e della crescita esponenziale del settore immobiliare cinese. Dall’inizio degli anni 2000 con l’adesione della Cina al WTO e il graduale passaggio a un’economia di mercato, si è passati da una economia prevalentemente basata sulla manodopera a basso costo, con il trasferimento della popolazione dalle zone rurali verso i centri a maggiore densità di popolazione e sviluppo economico. La crescita economica spinta fino ad allora dalle esportazioni di beni con prezzi estremamente competitivi e di bassa qualità, è stata gradualmente sostituita, soprattutto attraverso l’ingresso nel paese di società straniere e join venuture con imprenditori cinesi, dalla produzione di beni ottenuti con gli stessi criteri qualitativi di quelli occidentali, capaci di competere a pieno diritto nel sistema economico globale.
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La Cina potrebbe avere ancora bisogno, soprattutto nei settori in rapido sviluppo come la tecnologia, l’economia digitale e i veicoli elettrici, di acquisire le competenze per operare nel paese la trasformazione necessaria a completare il processo di modernizzazione. Il paese è oggi infatti uno dei maggiori mercati per multinazionali come Apple e Microsoft, e rischierebbe inoltre di perdere gli introiti dovuti alla presenza di queste grandi multinazionali se questi non potessero più avvantaggiarsi dell’agevolazione fiscale. In questo periodo storico la Cina deve fare i conti con alcune fragilità dovute soprattutto alla ripartenza squilibrata, dovuta alle politiche espansive e alle contestali incertezze internazionali, con i prezzi alla produzione che hanno segnato una crescita del 9% portandosi ai massimi del 2008. Contestualmente a questo potrebbe esserci un imminente aumento dei prezzi al consumo, compresi quelli dell’energia e di alcune materie prime come il carbone.
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