Ti fideresti di un investimento che promette l’11% all’anno ma che, allo stesso tempo, può crollare del 60% o più? Vladimiro, inizialmente, sì. Poi ha iniziato a farsi delle domande più scomode. Quelle che spesso evitiamo perché ci tolgono l’entusiasmo.
Ma sono proprio quelle a fare la differenza tra chi investe consapevolmente e chi lo fa a occhi chiusi. Una storia semplice, vera, e per molti sorprendente, che ha al centro una parola sola: probabilità.

Vladimiro non lavora nella finanza, ma ama leggere e capire. Quando ha scoperto che i mercati azionari internazionali, se ben diversificati e ponderati sul PIL mondiale, hanno l’80% di probabilità di salire su un orizzonte di dieci anni, si è sentito sicuro. Un rendimento medio dell’11% annuo gli sembrava più che sufficiente per costruire il futuro che sognava.
Eppure qualcosa gli ha stonato. I numeri erano perfetti, quasi troppo. Così ha iniziato a guardare anche l’altro lato della medaglia. Ha letto della crisi del 1929, del 2008, del 2000. In certi momenti, i mercati sono scesi del 60% o più, e non sempre si sono ripresi in tempi brevi. Dopo il 1929, ad esempio, ci sono voluti oltre vent’anni per tornare ai massimi. Questo lo ha colpito. E ha capito che serviva una risposta chiara alla domanda che gli ronzava in testa: “Potrebbe succedere ancora?”
Le statistiche sono utili, ma non sono il futuro
Quando ha parlato col suo consulente, Vladimiro ha scoperto una verità che molti preferiscono ignorare. Le statistiche sui mercati azionari raccontano il passato, non il futuro. Che qualcosa sia accaduto l’80% delle volte non significa che succederà anche stavolta. E quel 20% di possibilità contrarie, quando si verificano, lasciano il segno.

I mercati sono emozione, psicologia, nervi. E nei momenti peggiori, quando tutto scende, l’investitore medio non pensa più alle medie. Pensa a come limitare i danni. È lì che si gioca la vera partita: nel resistere. Perché i rendimenti si ottengono restando investiti, anche quando la paura dice il contrario.
Vladimiro ha capito che l’11% medio nasconde un percorso fatto di alti e bassi, e che il tempo è un alleato solo per chi riesce a gestire l’incertezza.
Certezze? Solo se lo Stato non crolla
Alla fine della conversazione, il consulente gli ha detto una frase che gli è rimasta impressa: “Sui mercati azionari valgono le probabilità. L’unica certezza, finché esistono, sono i titoli di Stato.” Non brillano, ma rassicurano. Hanno rendimenti più modesti, ma crollano solo se crolla lo Stato.
Vladimiro non ha rinunciato a investire, ma lo fa in modo diverso. Ha smesso di cercare sicurezze dove non esistono. Ha iniziato a chiedersi non quanto può guadagnare, ma quanto rischio è disposto a tollerare. È forse la domanda più onesta che un investitore possa farsi. E tu? Hai mai guardato in faccia quel 20%?