L’analisi della commissione Ue sui mercati agricoli nel 2022 evidenzia una ripresa delle coltivazioni nonostante l’impennata dei costi.
Le semine di primavera in Italia sono incrementate per le produzioni di soia, mais e girasole.
A garantire le forniture alimentari alle famiglie ci sono gli agricoltori. Nonostante circa il 30% delle aziende italiane si trovi in questo momento costretta a lavorare in perdita, la semina è un momento fondamentale per contrastare una delle cause dell’inflazione: l’aumento dei prezzi dei generi alimentari.
A fronte della situazione internazionale, la Russia ha deciso di vietare le esportazioni di grano in Europa fino al 31 agosto. Il fermo dovrebbe includere grano, segale, orzo e mais. A questo si affianca la decisione di sospendere le esportazioni di fertilizzanti. Gli sconvolgimenti sui mercati mondiali determinati dalla guerra in Ucraina spingono così in Italia le produzioni di soia, mais e girasole, aumentate rispettivamente del 16, 1 e 5%.
Un trend favorito anche dal via libera dell’Unione europea alla semina di 200 mila ettari di terreno aggiuntivi. Questi verranno impiegati per la produzione di circa 15 milioni di quintali di mais per gli allevamenti, di grano duro per la pasta e tenero per la panificazione. Un’iniziativa che contribuisce a ridurre la dipendenza dall’estero.
La produzione italiana di alimentari aumenta. Rimangono alti i prezzi di fertilizzanti e gasolio
Rimangono alti i prezzi di fertilizzanti e gasolio necessari per le operazioni colturali. La congiuntura ha causato un aumento record dei prezzi dei prodotti agricoli pari al 12,6 %.
Secondo l’ultima analisi della Coldiretti da Russia e Ucraina arrivano complessivamente in Italia il 13% delle importazioni di mais e il 4,2% di quelle di grano. Da canto suo l’Italia riesce a soddisfare il fabbisogno di appena il 36% del grano tenero che serve per pane, biscotti, dolci arrivando al 73% per il grano duro necessario a produrre la pasta.
Per quanto riguarda il mais invece la produzione raggiunge fino al 53% ed è utile in particolare per i mangimi animali. Il più importante rimane tuttavia l’olio di girasole da cui l’Italia dipende per il 60%.
La catena del valore dell’agricoltura e l’influsso sul costo degli allevamenti
La aziende agricole italiane hanno subito un aumento straordinario delle spese di produzione. Se i concimi sono aumentati del 170% anche il gasolio è salito del 129%. Le più penalizzate in termini di costi sono proprio le coltivazioni di cereali come il mais. Nel complesso in un anno il prezzo del frumento duro è aumentato del 80%, il frumento tenero è salito del 40% mentre il mais ha subito un rincaro del 38%.
Il mais è il principale ingrediente dell’alimentazione animale per cui il suo aumento comporta direttamente l’aumento del costo prodotto finale. La spirale innescata dalla instabilità geopolitica sta infatti influendo con i suoi effetti anche sul prezzo della carne. Gli aumenti del prezzo all’ingrosso sfiorano il 20% e sono riconducibili ai costi di produzione.
Il legame piuttosto lineare rende chiaro anche come un aumento significativo e repentino nel costo della carne non faccia altro che deprimere i consumi di questo alimento. A lievitare per lo stesso motivo saranno anche i costi di altri generi alimentari come il latte.
L’Indonesia blocca le esportazioni di olio di palma: l’Italia dipende dal Paese per il 50% del suo fabbisogno
La scorsa settimana l’Indonesia, primo esportatore mondiale di olio di palma ha annunciato il divieto temporaneo dell’export, con una mossa che ha fatto salire i prezzi di tutti gli oli commestibili. Il divieto della durata di un mese si applicherà soltanto alle esportazioni di oleina di palma raffinata. L’oleina di palma Rbd rappresenta circa il 40% delle esportazioni totali dell’Indonesia di prodotti di olio di palma.
La vicenda ancora una volta conferma quale può essere l’impatto di una forte dipendenza alimentare da paesi con cui non ci sono solidi rapporti commerciali e politici. L’Italia in questo caso arriva preparata, l’occasione è propizia per accelerare la sostituzione dell’olio di palma con prodotti più salubri e a minor impatto ambientale. L’olio di palma è stato progressivamente eliminato come ingrediente di base per l’elevato contenuto di acidi grassi saturi, ed è criticato per il progressivo disboscamento causato dalla sua coltivazione.
Burro, olio di oliva o quello di nocciola, sono i sostituti che il nostro Paese è in grado di utilizzare già oggi, nonostante il 50% delle sue importazioni di olio di palma, per un quantitativo di 721 milioni di chili, arrivino proprio dall’Indonesia.