Rialzo dei tassi, riduzione del reddito e recessione; sono tre R che muovono oggi le scelte di investimento e rendono turbolenti i mercati finanziari. Ecco quale rischio corre oggi l’Italia alle prese con i primi segni di stagflazione.
Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso le stime di crescita mondiali pari oggi al 3,6% e al rialzo quelle dell’inflazione delle economie avanzate pari al 5,7%.
Le politiche monetarie delle Banche centrali diventano più restrittive aumentando l’incertezza sulla continuazione della crescita economica. L’Italia è oggi tra i paesi dell’eurozona più esposti ai pericoli di recessione. Il Pil ha già segnato la prima flessione negativa segnando un meno 0,2% nel primo trimestre 2022.
Da inizio mese la Borsa di Milano ha ceduto il 3% portando il passivo accumulato da inizio anno a circa il 12%. A soffrire sono stati in particolar modo i titoli del segmento growth relativi alle aziende capaci di innovare e di portare cambiamenti in termini di competitività dei prodotti. A perdere in questo scenario è anche il settore dell’industria e dei servizi, con incrementi che si registrano invece in particolare nel settore agricolo.
Quasi un processo inverso a quello della industrializzazione che ha visto primeggiare i settori legati ai beni primari in un contesto di incertezza delle basi dello stile di vita occidentale. Cresce il peso delle preoccupazioni sulla fiducia dei consumatori e delle imprese. Su questo pesa più di tutti l’aumento dei costi energetici; A marzo 2022, i prezzi alla produzione industriale sono aumentati del 4,0% su base mensile. Le ricadute si scontano sui prezzi alla produzione aumentati del 4,7% sul mercato domestico.
L’Italia in stagflazione manca poco per la crisi perfetta
Negli ultimi tre mesi, rispetto ai tre mesi precedenti, i prezzi alla produzione industriale sono aumentati del 12,7%. Ancora più evidente il divario se considerati gli ultimi 12 mesi con i prezzi alla produzione industriale aumentati di circa il 36%.
Il tasso di inflazione annuo in Italia è sceso al 6,2 per cento rimanendo comunque ben al di sopra dell’obiettivo della BCE. I prezzi elevati distruggono la domanda non essenziale, i margini di guadagno delle aziende e si riducono gli investimenti in attesa di una stabilizzazione o una fine che ora sembra improbabile della guerra commerciale con la Russia.
Una tempesta che può abbattersi a cominciare dagli incrementi dei tassi di interesse della Federal Reserve e di un potenziale rallentamento anche dell’economia USA. Secondo Goldman Sachs vi sono alte probabilità che il Fomc continui a far crescere il costo del denaro negli Usa con incrementi di 50 punti base fino a raggiungere un tasso del 2,25-2,5%. L’attenzione non sarà dunque tanto sulla variazione prevista per mercoledì, già ampiamente scontata sul mercato, quanto piuttosto sulle prospettive offerte dalla Banca centrale sugli incrementi futuri.