I mercati procedono a ribasso sorpresi dal dato sull’inflazione Usa, ecco la differenza degli effetti economici rispetto all’Europa.
Mentre i dati sull’inflazione di giugno nell’Eurozona ha fatto segnare l’8,6% su base annua, tocca un nuovo record anche quella Usa dove i prezzi al consumo hanno raggiunto il 9,1%.
L’ennesimo record negativo si registra ieri, ad accomunare il dato leggermente superiore a quello dell’eurozona le componenti determinanti. Per entrambe le economie c’è la componente energetica che a maggio faceva segnare incrementi rispettivamente del 39% per l’eurozona e del 34% per gli Stati Uniti.
Una delle prime differenze tra i due sistemi economici è che negli Usa l’aumento del prezzo delle componenti meno volatili tende a essere più alta rispetto a quella fatta segnare in Eurozona. Per questo l’inflazione ha più possibilità di radicarsi e quindi rimanere nei prezzi di beni e servizi in modo permanente.
Inflazione; le differenze tra Usa e Ue
Inflazioni simili registrate nei due Paesi sembrano non avere le stesse cause. Se è vero che per entrambi il prezzo dell’energia fa da padrone, negli Stati Uniti gli aumenti vengono incorporati in tutti i prodotti, anche quelli meno volatili. Gli aumenti si scontano velocemente anche sul costo del lavoro e in generale il mercato è molto elastico rispetto alla variazione della domanda.
Gli Stati Uniti hanno un tasso di disoccupazione molto basso e compensano la forte domanda di lavoro con l’aumento dei salari cresciuti a ritmi sostenuti. Al contrario nell’eurozona i salari e il costo del lavoro hanno avuto variazioni minime e la variazione di prezzo dipende più che altro da dinamiche legate all’offerta.
La differenza tra i due mercati si sconta anche sulla politica monetaria. La Federal Reserve ha agito in maniera più aggressiva non dovendo temere per gli shock sulla tenuta di diversi regimi finanziari, che in Europa sono rappresentati dai diversi debiti sovrani. Oltre a questo esiste anche l’incertezza nella variazione degli approvvigionamenti energetici. Ciò rende la Bce particolarmente prudente sul margine di manovra che la residua crescita economica rende possibile. Alzare i tassi troppo presto, o troppo in fretta, rischia infatti di provocare una frenata economica troppo brusca o profonda e una conseguente recessione.
La BCE scommette anche per questi motivi che l’inflazione europea sia meno duratura rispetto a quella Usa. Perciò ha deciso fino a ora di mantenere i tassi negativi e riassorbire lentamente il quantitative easing legato agli interventi di sostegno dovuti alla pandemia.