Il nostro futuro sembra imbrigliato necessariamente all’interno della decarbonizzazione e nelle misure atte a contrastare i mutamenti climatici.
Ci aspettano manovre piuttosto drastiche che difficilmente potranno prendere in considerazione i dettagli e le differenze delle economie nazionali all’interno dell’Eurozona.
Le misure presentate in un’ottica di impegno progressivo coinvolgono la regolamentazione del settore industriale, presupposto indispensabile per il raggiungimento della neutralità energetica, con le emissioni di gas serra che dovranno essere ridotte nei prossimi nove anni almeno del 40%. Il cambiamento pianificato coinvolgerà anche per il comparto degli autoveicoli, i cui modelli a benzina non potranno più venduti a partire dal 2035.
Che cos’è il Centro per il Cambiamento Climatico
Lo scopo ufficiale è quello di integrare nelle politiche monetarie le considerazioni sugli effetti del cambiamento climatico. A questo fine la BCE amplierà le sue analisi a modelli macroeconomici, statistici e di politica monetaria, con riferimento alle politiche in linea con gli Accordi di Parigi sul clima. Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha stabilito un piano di azione organico, con un’ambiziosa tabella di marcia per integrare maggiormente considerazioni relative al cambiamento climatico nel proprio assetto di politico. Il cambiamento climatico e la transizione verso un’economia più sostenibile influiscono sulla stabilità dei prezzi tramite il loro impatto sugli indicatori macroeconomici quali inflazione, Pil, occupazione, tassi di interesse, investimenti e produttività, nonché sulla stabilità finanziaria e sull’efficacia della politica monetaria.
Il tempo a disposizione sembra troppo ristretto per non avere ricadute sul processo democratico e sull’economia liberale, messi da parte per correre ai ripari degli effetti climatici, che sempre più potranno avere conseguenze dirette sui paesi e sulle economie locali. Le aziende devono a questo punto concertare le loro politiche produttive con i governi, per riuscire a rideterminare la direzione degli investimenti, che da qui al 2050 dovranno raggiungere almeno i 90mila miliardi a livello globale al fine di riuscire a conseguire gli obbiettivi di riduzione fino al loro annullamento delle emissioni inquinanti.
Economie emergenti: la transizione ecologica non è al primo posto
Nonostante gli impegni profusi dalle maggiori economie mondiali, una parte del mondo rappresentato soprattutto dalle economie emergenti non è preparata economicamente a sostenere la spesa per colmare il divario tra il loro sistema produttivo e gli obbiettivi da perseguire. Paesi come India e Arabia Saudita non hanno previsto nessun percorso ufficiale per diminuire l’impatto ambientale, ed è molto probabile che non riadatteranno la propria produzione agli standard ecologici. Nell’ultimo G20 molti paesi hanno dichiarato che attenderanno, prima di intensificare i loro obiettivi in materia di cambiamento climatico, lo stanziamento di finanziamenti da parte dei paesi europei, UK, USA, Giappone pari 100 miliardi di dollari all’anno.
Trent’anni sono pochi per raggiungere la portata dei cambiamenti necessari a limitare l’incremento della temperatura globale. Gli investimenti in infrastrutture al fine adattarle ai parametri ecologici dovranno salire in media tra 3,1 trilioni di dollari e i 5,8 trilioni all’anno fino al 2050. Per avere un termine di paragone, nel 2020 gli investimenti sono stati a livello globale pari a 1,7 trilioni. Un aumento compreso tra il 100 e il 300% potrebbe mettere in seria difficoltà la governance globale, soprattutto in paesi come l’Unione Europea, che dovrà probabilmente aumentare la sua integrazione politica sotto la minaccia degli effetti economici e sociali dei fenomeni climatici violenti.
L’impatto del surriscaldamento globale per le attività economiche
Il riscaldamento globale ha un impatto decisamente rilevante per tutte le attività economiche, compreso il settore finanziario. La presa incarico da parte della BCE non è giustificata solamente dall’impatto delle decisioni economiche sull’agenda verde, concertata a livello politico dal parlamento europeo, ma anche dalla necessità di monitorare i rischi per la stabilità finanziaria. I rischi legati ai cambiamenti climatici sono molteplici e si possono dividere in due gruppi principali, quelli geografici e quelli finanziari. I rischi finanziari sono derivanti dall’introduzione di una politica economica pianificata che sostituisce in parte il libero mercato, l’economia e il settore finanziario si troverà costretto dalla nuova legislazione a operare in ambiti sempre più marginali, fino a quando non muteranno il ruolo delle energie rinnovabili e dei carburanti fossili, in relazione al loro sostegno al sistema produttivo e industriale, con effetti differenti a seconda del grado di coordinamento nella transizione ecologica tra i vari Paesi.
L’assenza del giusto tempismo, comunicazioni tardive o con scadenze troppo brevi in relazione a nuove norme o l’innalzamento della tassazione sull’inquinamento come la carbon tax, potrebbero avere avere effetti destabilizzanti sui mercati finanziari. È necessario a questo proposito fare particolare attenzione ad aziende quotate, che potrebbero subire da questo mutamento un incremento dei propri costi operativi e una contestuale riduzione dell’accesso al credito, con conseguenze su eventuali istituzioni finanziarie con una parte delle azioni di queste aziende in portafoglio. Il livello di esposizione del sistema finanziario europeo a questo proposito è attualmente considerevole, i fondi di investimento, sono investiti per 30% su titoli legati ad aziende ad alte emissioni inquinanti. Lo stesso vale per gli investimenti fatti al fine di supportare la crescita economica rallentata dalla crisi sanitaria, meno del 15% degli investimenti totali sono stati destinati a sostenere comparti in linea con gli obbiettivi ecologici.
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Il ruolo delle energie alternative
Gli asset finanziari subiranno quindi dei mutamenti contestuali con una liquidità che verrà spostata per favorire il calo delle emissioni in favore dell’approvvigionamento di sistemi che funzionano con energie rinnovabili quali l’elettrico, il solare e l’eolico, rappresentativi almeno del 75% delle attività economiche che dovranno essere finanziate per favorire la transazione ecologica. Un altro 14% è invece rappresentato dalle emissioni concernenti i trasporti, l’efficienza delle abitazioni e dei processi produttivi. A questo proposito una parte dell’energia necessaria potrà essere compensata nei prossimi decenni con energie alternative non rinnovabili, che tuttavia non hanno l’impatto ecologico dei carburanti fossili, tra questi il gas, l’idrogeno, nucleare e metano.
Bisogna quindi fare attenzione e monitorare accuratamente questi rischi nelle proprie scelte di investimento in quanto le autorità regolatrici nazionali in relazione a un contesto trans nazionale come i mercati finanziari potrebbero non sempre andare in accordo tra loro. Prima che la l’elettricità necessaria al fabbisogno energetico a livello globale possa venire generata completamente da fonti rinnovabili, le energie alternative subiranno un forte incremento della domanda. L’energia elettrica necessaria dovrà almeno raddoppiare entro i prossimi trent’anni, nel frattempo il nuovo protagonista potrebbe essere l’idrogeno, destinato a compensare maggiormente l’energia necessaria per settori come l’industria pesante e la produzione di sostanze chimiche. Ciò potrebbe portare un incremento della domanda fino a rappresentare il 22% delle fonti energetiche a livello globale entro il 2050, contro appena lo 0,002% di oggi.
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I rischi geografici correlati all’aumento delle temperature
I rischi geografici sono quelli direttamente legati agli effetti dell’innalzamento climatico sull’intensità e il mutamento dei fenomeni climatici, come uragani, inondazioni, nubifragi e siccità, erosione delle coste dato dall’innalzamento del mare, che possono mettere naturalmente a repentaglio intere economie, tanto che nel maggio 2021 la Banca Centrale Europea ha stimato che i danni economici dovuti ai disastri naturali soltanto nel 2019 sono stati pari al 1% del Pil dell’Unione Europea.
L’effetto sulle economie nazionali presenta differenze a seconda delle aree geografiche e delle aziende coinvolte nelle economie locali con ampie differenze settoriali. Tra i business più esposti ci sono quelli che legano il loro valore alle componenti immobiliari o alle materie prime caratteristiche del territorio, tra questi il settore immobiliare, delle costruzioni e quello manifatturiero.