Tra permessi della Legge 104 e licenziamenti inaspettati, c’è una verità che pochi conoscono e che può cambiare tutto. Una sentenza della Cassazione ha messo un punto fermo. O forse no.
Andrea non avrebbe mai pensato che una pausa presa in un momento complicato della sua vita potesse costargli il lavoro. Era tutto nero su bianco: assistenza a sua madre gravemente disabile, permessi regolarmente richiesti secondo quanto previsto dalla Legge 104.

Eppure, una mattina qualunque, arriva quella lettera. Licenziato per giusta causa. Senza appello.
Quando il permesso diventa un rischio: il caso di Andrea
Si sente crollare il mondo addosso. Lui, caregiver da anni, abituato a dividersi tra turni massacranti e corse al pronto soccorso, ora accusato di aver abusato dei suoi diritti. Una fotocopia di lui che prende un caffè da solo in centro, mentre era in permesso, è bastata a sollevare il dubbio. Ma davvero un caffè può far saltare un lavoro?

Andrea si rivolge a un avvocato, incredulo. Quello che scopre lo lascia ancora più spiazzato: sì, anche un singolo episodio può bastare. Ma c’è molto di più dietro quella parola, abuso .
Andrea aveva sempre utilizzato i permessi della Legge 104 con attenzione. Ogni volta che li chiedeva, lo faceva per accompagnare sua madre alle visite, per occuparsi di lei, per affrontare la burocrazia sanitaria. E sì, a volte, si fermava mezz’ora per respirare, per riprendere fiato tra una corsa e l’altra. Ma per il datore di lavoro, quella pausa, immortalata da un investigatore privato, è stata sufficiente per parlare di abuso.
L’avvocato gli spiega che, secondo la Cassazione, ciò che conta è che la giornata sia dedicata all’assistenza. Non è necessario essere incollati al familiare per tutte le ore del permesso. Una sosta, un momento di riposo, sono compatibili con il ruolo di caregiver , se l’attività principale rimane quella di cura. Ma attenzione: non si tratta di una zona franca.
La stessa Cassazione, con la sentenza n.17102/2021, ha chiarito che basta anche un solo utilizzo scorretto del permesso per giustificare un licenziamento. Non serve un comportamento reiterato. Questo significa che, se la giornata viene usata, anche solo in parte, per scopi personali non legati all’assistenza, il lavoratore rischia tutto.
Andrea, in quel momento, non stava accompagnando sua madre, né stava sbrigando pratiche per lei. Era semplicemente seduto da solo. Ed è qui che il confine diventa pericolosamente sottile: quel tempo, pur breve, non era giustificabile. E anche se Andrea era esausto, stanco, provato, la legge non perdona distrazioni, se il datore di lavoro decide di procedere.
Cura, fiducia e lavoro: un equilibrio fragile
Essere caregiver e lavoratore non è semplice. Ogni giorno si cammina su un filo sottile tra doveri professionali e responsabilità familiari. Chi assiste un parente malato sa quanto possa essere sfiancante, sia fisicamente che mentalmente. Ma la legge, per quanto sembri comprensiva, impone dei paletti molto rigidi. E in alcuni casi, li rendono taglienti.
Il ruolo dell’Inps, che anticipa la retribuzione dei giorni di assenza, rende ogni abuso non solo una questione aziendale, ma anche pubblic . Utilizzare il permesso in modo scorretto significa compiere una truffa . E il datore di lavoro può, anzi, deve intervenire, anche con mezzi forti: dalle indagini con investigatori privati alla denuncia.