La Legge 104 consente di richiedere l’avvicinamento, richiedendo e compilando degli specifici moduli, da consegnare al datore di lavoro. Ecco come funziona.
Ai sensi della Legge 104, i lavoratori che assistono un familiare affetto da disabilità grave, possono ottenere l’avvicinamento in una sede di lavoro più prossima all’abitazione del parente che necessita di cura.
La norma che stabilisce la facoltà del lavoratore di richiedere l’avvicinamento, per poter svolgere al meglio la funzione di caregiver, è abbastanza vaga. Per tale motivo, negli anni, non sono mancate dispute sulla reale portata applicativa di tale disposizione. La legge, infatti, sancisce che “il caregiver ha il diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più prossima a quella dell’assistito”. La locuzione “ove possibile” ha scatenato una serie di scontri interpretativi.
Vediamo, dunque, in che modo funziona l’avvicinamento nella sede più consona, in che modo può essere richiesto e se il datore di lavoro può opporsi al trasferimento.
Per ulteriori informazioni, consulta il seguente articolo: “Legge 104 e caregiver: trasferimento e divieto, cosa dice la Cassazione”.
Legge 104 e trasferimento: il requisito del posto vacante
Sul tema dell’avvicinamento per ragioni di assistenza, ci sono susseguite numerose sentenze della Corte di Cassazione. Gli Ermellini, infatti, hanno dovuto risolvere una serie di situazioni spinose e fissare l’applicabilità ed i limiti della disciplina normativa in oggetto.
Senza dubbio, la Legge 104 attribuisce al lavoratore dipendente il diritto a richiedere il trasferimento nella sede più vicina al domicilio del familiare disabile grave bisognoso di assistenza. Tale diritto, per la Corte, sorge fin dal momento dell’assunzione e perdura per l’intera esistenza del rapporto di lavoro.
C’è, però, una condizione da rispettare: il diritto al trasferimento è strettamente legato alla sussistenza di un posto vacante. Cosa vuol dire? Che, se il dipendente richiede di essere trasferito in una nuova sede, è necessario che in quest’ultima sia disponibile un ruolo non coperto e adatto alle mansioni del richiedente. Se, dunque, tale posto vacante non c’è, il caregiver può chiedere l’avvicinamento, ma il datore di lavoro può legittimamente negarglielo.
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Il rispetto delle esigenze di produzione
Ai sensi della Legge 104, il dipendente può rifiutare il trasferimento. Tale diritto, tuttavia, non è assoluto. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, infatti, ha stabilito un preciso limite. Il lavoratore non può rifiutare il trasferimento se da tale rifiuto può derivare un significativo danno alle esigenze produttive e organizzative dell’azienda. Il danno, infatti, potrebbe compromettere l’intera attività.
Grava, però, sul datore di lavoro l’onere della prova. Egli, dunque, ha il compito di provare le eventuali conseguenze negative dipendenti dal rifiuto. Se non c’è una valida dimostrazione, il trasferimento è considerato illegittimo e il caregiver ha il diritto di mantenere il proprio posto di lavoro.
Bisogna, inoltre, considerare un aspetto molto importante. Se il caregiver considera il trasferimento illegittimo, non può limitarsi a rifiutare di muoversi in una nuova sede. È, infatti, obbligato ad impugnare l’atto di trasferimento del datore di lavoro. La decisione finale spetta solo al giudice. Egli, infatti, dopo un’attenta valutazione del ricorso del dipendente, stabilisce se annullare l’ordine di servizio del datore di lavoro. Solo in questo caso, dunque, il lavoratore è autorizzato a rimanere nella vecchia sede.
Legge 104 e avvicinamento: il punto di vista della Cassazione
Dalla Legge 104, inoltre, scaturisce anche la possibilità di richiedere l’avvicinamento in una sede più comoda per assistere un familiare disabile grave. Anche su questo tema si sono susseguite numerose sentenze della Cassazione.
Un caso peculiare è quello di una lavoratrice che ha chiesto il trasferimento in una sede più vicina all’abitazione della madre e del fratello, entrambi disabili gravi con Legge 104 ed assistiti dalla richiedente.
Il datore di lavoro, però, ha rifiutato l’istanza. La lavoratrice, dunque, ha presentato ricorso al Tribunale.
La Suprema Corte di Cassazione ha sottolineato che il diritto della lavoratrice di scegliere una sede più vicina alla residenza dei familiari da assistere, trova applicazione solo “ove sia possibile”. E, dunque, solo se tale diritto non compromette, in maniera significativa, le esigenze economiche, organizzative e produttive del datore di lavoro.
Nello specifico caso esaminato, l’azienda non è stata in grado di dimostrare il danno. Anzi, negli anni precedenti, aveva già accordato il trasferimento per le stesse esigenze ad una settantina di lavoratori. Per tale ragione, gli Ermellini hanno accolto il ricorso della dipendente.
In cosa consiste l’esigenza familiare?
In che modo si richiede l’avvicinamento? La domanda deve essere presentata al datore di lavoro, compilando uno specifico Modulo. Se non sorgono complicazioni, il titolare dell’azienda accetta l’istanza. Per sicurezza, l’interessato deve darne anche comunicazione all’INPS.
Il diritto all’avvicinamento, riconosciuto dall’art. 33, comma 5, della Legge 104 del 1992, è tutelato se sussiste anche il requisito della vacanza del posto o se il posto è dichiarato disponibile dall’azienda o dalla pubblica amministrazione.
È opportuno sottolineare, però, che, in questi casi, il presupposto dell‘esigenza familiare è scavalcato dall’esigenza di servizio. Per quale motivo? Perché un eventuale danno all’azienda può provocare conseguenze negative per la collettività e mettere a rischio la stabilità dell’organizzazione di lavoro e la funzionalità della sede.
Di conseguenza, anche se in una sede diversa dovesse esserci un posto vacante a disposizione, il trasferimento richiesto dal dipendente potrebbe non essere accettato. Il datore di lavoro, dunque, ha la facoltà di decidere se coprire quel posto vacante o scegliere soluzioni differenti.